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Il segno del popolo e dei cristiani, che resiste anche al football globale della PlayStation

Maurizio Crippa

Il segno della croce in campo tra fede e superstizione. Il primo fu Falcão: divennero tutti i bambini, specialmente i più lesti, maestri di quella danza-preghiera che benediva l’inizio partita. Ora il gesto s’è fatto pop, credo l’abbiano digitalizzato pure nella PlayStation.

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Il primo, quando apparve la tv a colori e il calcio diventò uno show, a trasformare il gesto semplice della fede antica in un marchio globale fu Falcão, inteso il Re di Roma. Entrava in campo con la sua grazia di ballerino e compiendo un naturale inchino, miracolosamente senza perdere il ritmo e il passo, sfiorava l’erba con le dita. Poi, raddrizzando la fronte riccioluta, rapido tracciava i quattro punti cardinali dei cristiani, il segno della croce. Divennero tutti i bambini, specialmente i più lesti, maestri di quella danza-preghiera che benediva l’inizio partita. Senza sapere, forse, se fosse solo gioco o qualcosa di più. Me li ricordo ancora.

 

Ora il gesto s’è fatto pop, credo l’abbiano digitalizzato pure nella PlayStation. I segni della croce fanno parte dell’esibizione. Lavezzi è più compulsivo nel segnarsi che nel dribblare, Parigi è assediata dall’islam ma insieme Thiago Silva e David Luiz totalizzano più segni di croce di una processione di Bahia. Messi si segna quanto segna. Gesti, riti. Ma se insistono a bucare lo schermo è perché continuano a essere segni d’altro. Maradona rientrò dal famoso infortunio ai tempi di Barcellona facendo tre saltelli e un segno della croce. Superstizione? Fede popolare? Il cittì Conte, d’un tratto s’è scoperto che oltre a ringhiare si segna pure lui, devoto a Francesco. Gioco popolare, roba di classi povere e periferie non per forza esistenziali e poi di colonie battezzate per forza e per amore, la verità è che il calcio è ancora una faccenda del popolo, e di figli del popolino che si ricordano ancora il segno della croce e non ne hanno vergona, persino in Europa. E forse i bambini di oggi sanno cos’è, quel simbolo, solo perché lo vedono fare ai loro idoli, e lo rifanno. Mi ricordo un bambino, era musulmano e giocava con mio figlio, entrava in campo e lo faceva pure lui. Ma forse un giorno, sul prato di un qualche Emirates Stadium, impediranno a quei ragazzi diventati eroi di sfiorare l’erba, e di segnare come i loro padri i quattro punti cardinali che uniscono terra e Cielo.

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