Alexander Zakharchenko, il leader filorusso, al voto (foto LaPresse)

L'accordo di Minsk è morto

Redazione

Alle cosiddette elezioni di domenica nell’est dell’Ucraina, a Donetsk e Lugansk, non hanno potuto partecipare nemmeno i comunisti pro russi che, da queste parti, sono sempre stati piuttosto forti. Nella regione di Donetsk, la tornata elettorale s’è risolta in una faccenda tra separatisti.

Alle cosiddette elezioni di domenica nell’est dell’Ucraina, a Donetsk e Lugansk, non hanno potuto partecipare nemmeno i comunisti pro russi che, da queste parti, sono sempre stati piuttosto forti. Nella regione di Donetsk, la tornata elettorale s’è risolta in una faccenda tra separatisti, due partiti votabili, la Repubblica di Donetsk e il Donbass libero: entrambi hanno come unico scopo la secessione dal governo di Kiev.

 

Gli organizzatori del voto – non c’erano registri, quindi il conteggio è arbitrario – hanno detto che a vincere è stato Alexander Zakharchenko, un elettricista di 38 anni, leader della Repubblica di Donetsk e unico volto conosciuto, con il 79 per cento dei voti. Ora si aspetta una reazione da parte della Russia: come è noto, questa tornata elettorale (che non è nemmeno definibile così, se si pensa che la stragrande maggioranza delle persone non è andata a votare, è un pezzo di terra in guerra, questo, ci sono i carri armati e i fucili, non ci si muove con facilità, e non c’erano le mappe dei seggi) è stata appoggiata da Mosca e rifiutata dall’occidente che non riconosce questo voto, in quanto viola gli accordi di Minsk. Questo trattato, firmato nella capitale bielorussa il 5 settembre scorso dai separatisti prorussi e dalle autorità di Kiev in presenza della Russia e dell’Unione europea, è considerata la road map della stabilizzazione della regione dell’est Ucraina, dopo che il tanto celebrato cessate il fuoco sancito a Ginevra qualche mese fa si è rivelato del tutto inutile. A Minsk le parti si erano accordate sul fatto che le elezioni locali sarebbero state organizzate sotto la giurisdizione ucraina per dare maggiori poteri alle regioni dell’est che chiedono autonomia dal governo centrale.

 

[**Video_box_2**]Non è andata così: ora i separatisti vogliono dare alla loro causa la legittimità delle urne, hanno un leader e si fanno forti del “rispetto” di Mosca per il voto nel Donbass. Il presidente russo Putin potrebbe parlarne oggi, in occasione della cerimonia in Piazza Rossa per la celebrazione del Giorno dell’unità nazionale, ma al momento è chiaro che la frattura tra le due anime dell’Ucraina non è stata sanata e che il logorio dello status quo non si ferma, semmai è destinato a peggiorare.

 

 

 

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