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Per non dire il suo segreto, Uber denuncia in blocco la capitale dell’Ohio

Redazione

Il ceo di Uber, Travis Kalanick, ha abituato i giornalisti e gli utenti alle azioni spettacolari. Tutte le volte che lui e la sua compagnia si muovono, si sa che ci saranno una dichiarazione ruvida, un annuncio controverso, una battaglia spietata da osservare e commentare.

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Roma. Il ceo di Uber, Travis Kalanick, ha abituato i giornalisti e gli utenti alle azioni spettacolari. Tutte le volte che lui e la sua compagnia si muovono, si sa che ci saranno una dichiarazione ruvida, un annuncio controverso, una battaglia spietata da osservare e commentare. Le mosse di Uber dividono e creano tifoserie, mantengono alta l’attenzione, e sui giornali generano titoli che sono sempre a effetto. Quelli di ieri, per esempio, dicevano “Uber bandita dalla Germania”, e si riferivano alla sentenza di un tribunale di Francoforte che ha bandito da tutto il paese UberPop, il servizio che consente ad autisti senza licenza di accreditarsi attraverso l’app di Uber e dare passaggi a pagamento con la propria macchina privata. Per Uber è una battaglia persa, non l’intera guerra, perché la sentenza riguarda solo uno dei suoi servizi (gli altri, compreso quello di macchine di lusso per cui la compagnia è diventata famosa, potranno continuare a operare) e perché quella di Francoforte è un’ingiunzione temporanea, che potrà essere ribaltata in tribunale – ma una sentenza simile, bloccata all’ultimo la settimana scorsa, pende anche ad Amburgo.

 

Questa settimana Uber ha dato materiale per un altro titolo. La notizia viene dall’America, e il titolo potrebbe suonare più o meno così: “Uber trascina in tribunale la capitale dell’Ohio”. E’ un problema di assicurazioni, che inizia la notte di Capodanno dello scorso anno, quando a San Francisco una macchina di Uber investì una famiglia di tre persone e uccise una bambina di sei anni, Sophia Liu. Al momento dell’incidente la macchina, guidata da Syed Muzzafar, un uomo di 57 anni, non trasportava passeggeri, e per questa ragione l’unica reazione di Uber fu un secco: “Noi non c’entriamo”. Uber si ritiene responsabile delle sue macchine solo quando c’è un passeggero a bordo. In caso contrario gli autisti sono liberi professionisti che girano per le strade, dunque nessuna copertura assicurativa, nessun risarcimento, nessuna responsabilità per la compagnia.

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[**Video_box_2**]Ne scaturì uno scandalo grande, e Uber alla fine fu costretta a estendere la sua copertura assicurativa anche quando gli autisti non trasportano passeggeri (lo fece contemporaneamente anche Lyft, la compagnia gemella che con Uber combatte da mesi una battaglia spietata di prezzi, annunci promozionali e tecniche di boicottaggio). Uber disse che finché l’autista aveva in uso la sua app, l’assicurazione della compagnia avrebbe coperto i danni fino a 100 mila dollari. Ma come funzionasse davvero l’assicurazione, chi proteggesse veramente, cosa sarebbe successo se ci fosse stato un incidente mortale, Uber non l’ha mai voluto dire. “E’ un’informazione commerciale segreta”, dice la compagnia, se fosse rivelata causerebbe un danno “notevole e irreparabile”. Così, quando una rete televisiva di Columbus, la capitale dell’Ohio, si è appellata alla legge sulla trasparenza per chiedere all’amministrazione cittadina una copia non secretata dei contratti di assicurazione, Uber ha denunciato in blocco la città. Il problema, dicono i maligni, è che probabilmente l’assicurazione non protegge gli autisti e i passeggeri di Uber come ci si aspetterebbe. Non che sia illegale, non lo era nemmeno prima, quando Uber declinava la responsabilità sulle macchine senza passeggero, ma è un brutto colpo di immagine, a pochi giorni dallo scoop di The Verge che svelava il programma di boicottaggio messo in atto contro Lyft per reclutare gli autisti del concorrente.

 

Uber e Kalanick combattono da mesi una battaglia per posizionare la compagnia tra gli “innovatori digitali che combattono le lobby”, più che nella categoria dei “disruptor rapaci che fanno terra bruciata intorno a sé”. Per questo Kalanick ha assunto come vicepresidente l’architetto della campagna elettorale di Obama 2008, ma labattaglia è difficile, perché l’attacco alle lobby, che c’è davvero, è fatto con lo spirito del pirata per cui ogni mezzo è buono per raggiungere l’obiettivo, anche quando c’è da portare in tribunale la capitale di uno stato americano.

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