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Io Ballarò da solo

Giovanni Floris lascia la Rai e si trasferisce a La7. Contratto di 4 milioni di euro in 3 anni. Confermate le voci che circolavano da settimane. Ecco chi è lo storico conduttore di Ballarò.

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Giovanni Floris lascia la Rai e si trasferisce a La7. Contratto di 4 milioni di euro in 3 anni. Confermate le voci che circolavano da settimane. Ecco chi è lo storico conduttore di Ballarò, ritratto da Marianna Rizzini sul Foglio del 7 giugno.

 

Scena rivelatrice: Giovanni Floris sta presentando il suo ultimo libro nonché suo primo romanzo (“Il confine di Bonetti”, edizioni Feltrinelli, storia anni Ottanta di un’amicizia maschile e di una notte da leoni fuori tempo, con struggimento per le possibilità non percorse, molte atmosfere autobiografiche ma personaggi e plot inventati, come specifica sempre l’autore quando qualcuno si insospettisce e fa domande tipo: ma come, questi liceali frequentano il quartiere che frequentavi tu al liceo? ma come, uno fa il notaio e l’altro il regista da Oscar? ma non è che conosci Paolo Sorrentino e non ce lo dici? Ah, non è lui? E allora chi è? Ma che davvero hai incontrato Tony Hadley, il cantante degli Spandau Ballet, invecchiato e bolso che comprava pomodori a Campo de’ Fiori, e ti ha preso un colpo?). La presentazione non è in libreria, e neanche in un museo adibito a sala convegni. E’ a casa Polito (Antonio e consorte Patrizia Ravaioli), seppure in assenza di Polito stesso, quel giorno a Napoli in qualità di direttore del Corriere del Mezzogiorno. Officiano lo stesso Floris, naturalmente, con Myrta Merlino e Pierluigi Battista, mentre la folla di avventori rimasti senza posto a sedere nella sala del nuovo informale cenacolo letterario si assiepa attorno alla porta d’ingresso, aperta per i ritardatari. Floris ha già detto il suo “no” in diretta a “Ballarò” sui tagli ai proventi da canone Rai 2014 annunciati da Matteo Renzi (150 milioni di euro), chiedendo anche “non è che favoriscono Mediaset?”, il premier gli ha risposto via Twitter (tutti facciano sacrifici, la Rai non è dei conduttori), ma non ancora dal palco del Festival dell’Economia di Trento (dove poi parlerà degli anchorman che fanno domande fin troppo aziendaliste, pur senza nominare Floris direttamente).

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Ad ascoltare a casa Polito il Floris-scrittore, che al Salone di Torino ha già manifestato, non senza compiacimento del debuttante, la prima ansia da intervistato (e se poi mi rilasso e lei mi fa la domanda che mi atterra?, diceva alla giornalista), c’è molto mondo Croce-Rossa, di cui la signora Polito è colonna portante, e ci sono due anime del Pd che si parlano senza problemi (l’ultralettiana Paola De Micheli e l’ultrarenziano Ernesto Carbone, il deputato pd che prestò a Renzi la famosa Smart con cui salì al Colle – un topos dell’epica rottamatrice). Ma, racconta un avventore dell’ultima fila, non si vede quasi nessuno dell’ambiente “Ballarò” (né l’autore storico Federico Geremicca né la storica “miracolata” mediatica di Floris ed ex presidente della regione Lazio, Renata Polverini). Soprattutto è assente il corpaccione del partito Rai. Niente nomi grossi accalcati sull’uscio. Floris intanto si racconta – mi avevano chiesto una cosa sugli anni Ottanta, mi è uscito il romanzo che avevo sempre voluto e mai osato scrivere – e la gente applaude. Fuori il caso Rai è esploso, e il solitamente compassato Floris si è ritrovato con l’inedito (in mano sua) cerino del ribelle, vuoi per mancanza di concorrenti sulle barricate (l’Usigrai si è ritirata dallo sciopero anti tagli, i dirigenti Rai al momento si dicono pro tagli) vuoi per intrinseca avversione agli “effetti speciali” del Renzi premier-bullo, come dice Carlo Freccero (che trova Floris, anche nello stile televisivo, “più lettiano e incline alle larghe intese della competenza: supporto numerico, esperti, grafici, pallino per l’economia, tabelle. Floris è l’uomo del giornalismo divulgativo che ora compie un gesto simbolico di indipendenza dal potere. Un gesto che lo santifica agli occhi di un certo mondo e che rende possibile, volendo, la rifondazione sua e contemporaneamente di un ‘altrove’ che a sua volta è in cerca di restyling”).

 

L’altrove cioè Mediaset, dicono i rumors mentre Mediaset smentisce persino “i contatti” con Floris e il direttore generale della Rai, Luigi Gubitosi, si dice “speranzoso” per la soluzione del nodo contrattuale di Floris (che in questi giorni di rinnovo, con l’agente Beppe Caschetto ai posti di combattimento, vorrebbe più spazio, possibilmente anche sulla rete ammiraglia dove ora regna Bruno Vespa). “E’ come se Floris avesse preso il posto di Santoro come pecora nera Rai, complice anche il Maurizio Crozza delle imitazioni antirenziane”, dice Freccero. Fatto sta che ora, beffa del destino, Santoro parla dei tagli-Rai ma non si mette dalla parte dell’improvvisamente pasionario Floris (che ai tempi delle battaglie dell’allora conduttore di “Annozero” con l’allora direttore generale Rai Mauro Masi appariva comprensivo con Santoro – “c’è diritto alla differenza” – ma non apertamente scatenato contro Masi e contro il mondo dei berluscones: “non demonizziamo”). Anzi: oggi Santoro dice a Repubblica che la spallata renziana può essere “un’opportunità”, che la Rai da sola “non si autoriforma”, che i tagli “non favoriscono la concorrenza” e che se Floris va a Mediaset la Rai “farebbe male a perderlo”, certo, ma comunque in fondo che interesse avrebbe, Floris, ad andare a Mediaset?

 

Sono lontani i tempi in cui Floris, parlando di riforme in Rai, pareva addirittura avanguardia – sì, dovrebbe restare soltanto una rete pubblica, diceva, “basta che si faccia la legge Antitrust”. Ora, a mondo rovesciato, rischia l’accusa di “difensore del vecchio”. Il Corriere della Sera lo difende. Pierluigi Battista ricorda gli attacchi del renziano Michele Anzaldi all’imitazione di Maria Elena Boschi fatta a “Ballarò” da Virginia Raffaele, prodromo di un atteggiamento che definisce “discutibile”: “Che cosa si sarebbe scatenato, a sinistra, tra girotondi e grida ‘al regime’, se Silvio Berlusconi avesse fatto l’editto di Trento, criticando dal Festival dell’Economia, come ha fatto Renzi, i conduttori che come Floris hanno fatto una domanda soltanto vagamente maliziosa?”. E Paolo Conti, in un editoriale intitolato “La vecchia diffidenza per chi fa domande”, parla del conduttore che “aveva fatto il suo lavoro”, bacchettando il premier: “Può essere irritante sentirsi rivolgere domande scomode davanti a milioni di telespettatori, ma la regola è nota: si accettano tutte le domande” (siamo già alla “santificazione” di cui parla Freccero?).

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“Crozza, bisogna capire che cosa fa Crozza”, dicono i curiosi e i sospettosi, dando al comico della “Copertina” di “Ballarò” il ruolo di fatina buona che traina gli ascolti a inizio trasmissione e al sondaggista Nando Pagnoncelli quello di deus ex machina che li risolleva alla fine, in caso di cali di share dovuti magari all’inflazione di ospiti ricorrenti che da sempre alimentano i dubbi dei dietrologi, incuriositi dalla presenza assidua di Massimo Giannini, vicedirettore di Repubblica, di Luigi Abete, presidente Bnl, di Aurelio Regina, presidente Confindustria Lazio, di Roberta De Monticelli, filosofa indignata anti casta e della giovane economista anticapitalista e blogger di area Agende rosse-Cinque stelle-movimenti in stile “Occupy Wall Street” Lidia Undiemi. E se un tempo si dava a Floris la “colpa” di aver “creato dal nulla”, con i suoi inviti, Michela Vittoria Brambilla, o di aver fatto arrivare ai vertici del centrodestra il recordman di presenze in studio Maurizio Lupi, ora ci si chiede se abbia avuto per caso un ruolo liberatorio del finora non combattente aziendalismo di Floris la scrittura del romanzo di formazione. Romanzo in cui i ragazzi non pagano il conto al ristorante (“fare il vento”) e distruggono le case delle feste in cui si imbucano mentre lui, l’autore, scrive tutte le parolacce che non dice in tv (“cazzo”, “scopare”, e persino, come gli ricordava Daria Bignardi alle “Invasioni barbariche”, due mesi fa, “mi fa cagare”). Un Floris che alle presentazioni racconta rilassato (come quando nelle foto estive indossa i pantaloni a righe da giocoliere di strada) di quella che nel libro descrive come la generazione che “ha potuto crescere” leggera ma dimenticata, sottovalutata – e forse ormai anche un po’ inflazionata, ohimè, vista la messe di libri e video nostalgici sugli anni Ottanta e ora pure Novanta. E insomma il Floris anti Renzi, combinato al Floris-scrittore, pare finalmente conforme al suo finora apparentemente incongruo “alé!”, quello che dice a ogni fine trasmissione: ma che c’entra?, si chiedevano all’inizio gli spettatori, sentendo quel saluto un po’ così, licenza neanche tanto pazzerella del conduttore che mai si concedeva un fuori-tono (al massimo litiga con Beatrice Lorenzin e poi dice “sembriamo Sandra e Raimondo”, e sgrida Matteo Salvini quando manda messaggi sul cellulare mentre è in trasmissione).

 

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[**Video_box_2**]Che la scrittura de “Il confine di Bonetti” abbia tirato fuori il Floris che se ne stava acquattato nel buio come un Aladino nella lampada o che Floris spicchi come pasionario in Rai per strategia nonché per mancanza di concorrenti, il “no pasaran” detto in diretta ai tagli di Renzi ha dato il via all’altalena sullo sciopero (si fa, non si fa, si partecipa, non si partecipa, e alla fine l’Usigrai, che tanto si era indignata al suo vertice, si è sfilata per opposizione manifesta della base). Ed è stata subito inversione di ruoli collettiva, con il sindacato accusato di conservatorismo, i dirigenti Rai in gara per apparire più innovatori degli altri, i consiglieri Rai di centrodestra spaccati (favorevole allo scossone renziano Antonio Pilati, contrari Antonio Verro e Guglielmo Rositani) e il Tg3 più che perplesso (scioperare no grazie, era il pensiero del conduttore di “Linea notte” Maurizio Mannoni, peraltro condiviso dai colleghi). Calavano intanto la sentenza del Garante (“sciopero illegittimo”) e la dichiarazione del costituzionalista amato dal Fatto Alessandro Pace (“taglio incostituzionale”), mentre il direttore generale Rai Luigi Gubitosi si spingeva, sul Corriere della Sera, a benedire la linea di Palazzo Chigi (pur avendo chiesto via lettera, con la presidente Anna Maria Tarantola, delucidazioni al ministero dell’Economia). Al Floris che colpiva non rispondevano gli amici di sempre ma i nemici di sempre: il grillino Roberto Fico, presidente della Vigilianza, qualche giorno fa dava sostegno agli annunciati scioperanti a dispetto delle passate battaglie anti casta (in Rai) e anti Floris di Beppe Grillo. Il Floris che oggi è descritto come l’ultimo giapponese anti Renzi, infatti, era un tempo uno dei bersagli preferiti del Grillo post Tsunami-tour del 2013, per via delle sue dichiarazioni anti M5s nel salotto di Fabio Fazio, a “Che tempo che fa” (“servo più zelante dei padroni”, era l’accusa di Grillo).

 

Né le punzecchiature di Marco Travaglio erano state allontanate dai telefoni lasciati squillare da Floris l’ultima volta che, nel 2011, Silvio Berlusconi aveva provato a intervenire in diretta, come prima era ripetutamente capitato (e di solito il Cav. prendeva di petto l’intervento di Massimo Giannini). Dobbiamo aspirare tutti al benessere, diceva Floris a Fazio, discostandosi apertamente da Grillo, alfiere dell’abbassamento dello stipendio dei politici e del livellamento verso il basso del tenore di vita – decrescita o disperazione?, si chiedeva Floris. Né era stata panacea per il cittadino, diceva, la decisione di mandare “dei fuoricorso” in Parlamento come garanzia di purezza (e a quel punto si scatenavano i peggiori commenti dell’internazionale dell’insulto sul web). “Io non dimentico, faremo i conti”, gli mandava a dire il Grillo che oggi, di fatto, si trova in linea con Floris sulla Rai pur pubblicando sul suo blog un post sulla presunta discriminazione verbale dei grillini negli interventi dei leghisti a “Ballarò”). “Quanto guadagna Floris?”, era la classica domanda grillina, un anno fa (risposta del conduttore: cinquecentomila euro). Ma ora l’argomento non è quello. Ora Marco Travaglio, sulla prima pagina di un Fatto insolitamente benevolo con il Floris che, suo malgrado, questo è il concetto, tiene testa a Renzi, fa notare che “se Floris vuol fare domande lo sa dove se le deve ficcare”. E pensare che nel 2013 Travaglio, già autore della definizione “Floris, giornalista a sovranità limitata”, aveva preso di mira un’intervista a Pier Luigi Bersani in cui il conduttore di “Ballarò”, così scriveva il vicedirettore del Fatto, “faceva fare al giornalismo indipendente un altro passo da gigante… Giovanni Floris e Pier Luigi Bersani parevano due compari che si ritrovano al bar dopo tanto tempo e il più cazzaro dei due racconta all’altro che lo voleva alla Juve come centravanti, ma lui ha rifiutato perché merita ben di meglio… L’unica volta che Bersani ha detto qualcosa di vero, e cioè che sa chi sono i 101 ‘o forse 110?’ parlamentari del Pd che han tradito Prodi e il partito, ma non intende svelarli, Floris ha lasciato pietosamente cadere la questione. Meglio non metter troppo in imbarazzo l’ospite. Meglio servirgli altri assist spiritosi, tipo: ‘E’ più facile governare con Alfano o con Casaleggio?’. Ah ah, zuzzurellone”, era l’epitaffio di Travaglio, oggi di fatto in linea con Floris in tema di Rai e in disaccordo, come si è visto, col compagno di “Servizio pubblico” Santoro, che pure, da “vecchio comunista”, in Rai avrebbe scioperato se glielo avessero chiesto i sindacati, ma giusto per non fare “il crumiro”.

 

“Alé!”, diceva Floris per salutare, da conduttore all’americana tutto numeri che si lascia andare, per vezzo, al gesto colloquiale (lo faceva pure l’ex enfant prodige della Cnn Alessio Vinci a “Matrix”, su Canale 5, congedandosi dai telespettatori con il tormentone “good night and see you soon”, versione corretta del suo amato “Good night and good luck”, titolo del film di George Clooney sulla vera storia di Edward R. Murrow, giornalista in lotta contro il maccartismo. “Alé!”, dunque, ma non certo “gimme five” (il “battere il cinque” renziano, ché l’America di Floris non è quella di Renzi – Floris quando ci va frequenta gli amici internazionali conosciuti da studente universitario (dopo il classico al liceo Tasso, Roma) o da giovane corrispondente del Giornale radio Rai, quando, al termine di una gavetta intercontinentale a descrivere vicissitudini economiche delle “Tigri asiatiche” e delle vecchie economie europee, capitò lì per caso l’11 settembre del 2001 – “eravamo soltanto in tre, gli altri inviati non potevano arrivare a New York, per quattro giorni avrò dormito cinque ore”, racconta Floris nelle sue biografie online (alla fine l’hanno promosso inviato sul campo, ed è stato l’inizio della carriera: si trasferì a New York con sua moglie, ma un anno dopo faceva già il viaggio di ritorno per diventare conduttore di “Ballarò”, e da Roma non se n’è più andato, complice la nascita dei due figli). L’America di Floris non è pop, anche se nel suo libro il pop anni Ottanta è coccolato e rimpianto dai protagonisti che come lui studiano in un’università privata (la Luiss, per Floris, con successivi approfondimenti sulla concertazione nell’ambiente MondoOperaio, con Gino Giugni e Luciano Pellicani, e definitivo balzo nel giornalismo con la scuola di Perugia, negli anni in cui i protagonisti del suo libro dicono: c’è stata Tangentopoli, tutto azzerato, e “vista la merda che c’è in giro”, persino “un poveraccio qualsiasi come noi” ce la può fare).

 

“Giornalismo embedded”, diceva Travaglio a Floris dieci anni fa, e vai a pensare che, in epoca renziana, i nemici sarebbero diventati stampelle e l’allora “partito Rai” un sotterraneo avversario – e vai a pensare che non più sull’antiberlusconismo auto-calmierato del conduttore di “Ballarò”, ma sulla sua contrarietà manifesta al governo del bullo di centrosinistra si sarebbe dibattuto (il resto lo fa la curiosità: ma l’ha fatto perché punta davvero ad andarsene o per alzare la posta?, è il bisbiglìo che si leva incessante dai gruppetti di dirigenti in Viale Mazzini).

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