Il cinema ammazza le idee che funzionano, è per questo che Gomorra piace

Mariarosa Mancuso

Gomorra - La serie” annunciano i titoli di testa, e si capisce subito che – almeno tra cinema e tv – un passaggio generazionale (per non dire “rottamazione”, pare brutto) si è compiuto.

"Gomorra - La serie" annunciano i titoli di testa, e si capisce subito che – almeno tra cinema e tv – un passaggio generazionale (per non dire “rottamazione”, pare brutto) si è compiuto. Vale anche in questo caso la regola stabilita da Aldo Grasso a proposito di “Romanzo criminale”: il film di Michele Placido era molto meglio del libro di Giancarlo De Cataldo, e la serie diretta da Stefano Sollima e prodotta da Sky era molto meglio del film.

 

Un miracolo, in un paese che ha distorto il nobile termine “fiction” fino a farlo diventare sinonimo di “sceneggiato televisivo su santi e altri eroi nostrani, scritto maluccio e recitato peggio”. Un sogno, in una cultura ancora convinta che i libri mediocri, in genere scritti da giornalisti, siano collocati un gradino più in alto dei film fatti bene, e che i film mediocri, perlopiù propinati da registi-artisti, siano un gradino sopra qualsiasi serie tv, non importa quanto geniale e innovativa nel linguaggio.

 

Per serendipity – le felici coincidenze che ci fanno trovare cose che non cercavamo – l’ultima puntata di “Gomorra - La serie”, è andata in onda ieri sera. Quando sui quotidiani la regista Francesca Archibugi presentava il suo prossimo film, remake del successo francese “Le prénom”, firmato da Alexandre de La Patellière. Titolo sulla Stampa: “Metti una sera a cena i conflitti di classe”, insulsa macchina del tempo che riporta indietro di svariati decenni. Pigrizia da giornalista collettivo, non fosse che l’articolo presenta “Il nome del figlio” come “frutto di una produzione indipendente (cioè senza finanziamenti tv)”. La televisione rappresenta ancora il male, sicuro, e basta chiamarsi fuori per aver diritto a un occhio di riguardo da parte di chi accende la tv solo per guardare “Pane quotidiano”.

 

Altra frase da restarci secchi: “Un ‘Carnage’ ma con molto amore e con molta amicizia”. Chi non avesse visto lo strepitoso film di Roman Polanski, né letto il magnifico testo teatrale di Yasmina Reza (uscito da Adelphi con in titolo “Il dio del massacro”), deve sapere che le due coppie protagoniste litigano furiosamente, e non c’è lieto fine. All’origine, una rissa tra ragazzini che potrebbe finire in niente come è cominciata, se non si mettessero di mezzo i genitori. La tipica situazione da campetto di calcio: i figli hanno già fatto pace, i genitori ancora si accapigliano sulle tribune. Da gioco al massacro anche la trama di “Le prénom”, uscito nelle sale italiane con il titolo “Cena tra amici”: una coppia decide di chiamare il figlio Adolf, con gran scandalo degli amici progressisti, “ma è il nome di Hitler”. Nella versione riscritta per la provincia italiana da Francesco Piccolo al posto di Adolf c’è Benito.

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Con un cinema così, che smussa e distrugge le idee che funzionano annegandole in una poltiglia sentimentale, promettiamo fedeltà alle serie Sky tutta la vita. Facciamo un monumento al regista Stefano Sollima – ma forse sarebbe meglio dire showrunner, credito condiviso dal caposceneggiatore Stefano Bises – che qui ha lavorato con Claudio Cupellini (buone credenziali: “Lezioni di cioccolato”). E con Francesca Comencini, dalle credenziali pessime: “Carlo Giuliani, ragazzo”, “Mi piace lavorare”, “Un giorno speciale”. Piccolo segno di speranza: una committenza forte, un’ottima scrittura e una dinamica produttiva industriale – non è una brutta parola, vuol dire massimo rispetto per lo spettatore – fanno il loro effetto.

 

“Gomorra - La serie” ha avuto successo di pubblico, è stata venduta all’estero (negli Stati Uniti alla Weinstein Company, mentre la Twc progetta di ricavare dal romanzo di Roberto Saviano un’altra serie). Le critiche sono state eccellenti, e si sta preparando la seconda stagione. Tutte da guardare le facce degli attori, tutte da ascoltare le battute, curatissimi gli interni dorati e sovraccarichi, impeccabili le scene d’azione. Un miracolo italiano e un prodotto contemporaneo da esportare, senza fenicotteri né intellettuali vestiti di lino stropicciato.

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