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Arrivano i normcore. Essere cool non va più di moda

Manuel Peruzzo

Molte cose al mondo non hanno un nome, e molte, anche se il nome ce l’hanno, non sono mai state descritte. Poi ci sono le etichette giornalistiche. Come la neoconiata normcore, tendenza fashion nata dalle sottoculture trendy che si definiscono “post-aspirazionali” e divulgata da giornali fighetti come il New York Times Magazine per raccontare quel che sembra essere una sottocultura, un meme, un trend, un fenomeno, insomma un qualcosa di gran moda: incoraggiare ad abbandonare lo spirito di ribellione ed essere come tutti. E' una non-moda.

    Molte cose al mondo non hanno un nome, e molte, anche se il nome ce l’hanno, non sono mai state descritte. Poi ci sono le etichette giornalistiche. Come la neoconiata normcore, tendenza fashion nata dalle sottoculture trendy che si definiscono “post-aspirazionali” e divulgata da giornali fighetti come il New York Times Magazine per raccontare quel che sembra essere una sottocultura, un meme, un trend, un fenomeno, insomma un qualcosa di gran moda: incoraggiare ad abbandonare lo spirito di ribellione ed essere come tutti. E' una non-moda.

    Essere rivoluzionari non interessa più a nessuno. Dopo anni di hipsterismo, che ci hanno ubriacato nella continua ricerca alla dichiarazione di individualità, la cosa più rivoluzionaria è la banalità, l’esprimersi con uno stile anodino, impersonale, scialbo. Far parte di nuovo del gruppo indistinto. Quindi, siccome siamo negli Stati Uniti, da turista americano vestito Wal-Mart o Gap, con ai piedi sandali con le calze, ciabatte dell’Adidas, sneakers Newbalance M990; addosso felpe di pile, T-shirt della Coca Cola o della Disney, tute in tinta unita, meglio sul grigio, usate come pantaloni. Vestirsi male. Uno stile diffuso tramite hashtag su Tumblr e Twitter, e che come modelli di riferimento ha Jerry Seinfeld, Friends, Steve Jobs e il cast di Beverly Hills 90210.

    Sulle definizioni non ci si mette mai d’accordo. Se Alain de Botton scrive su Newsweek che il normcore è la ricerca della maglietta e delle scarpe ideali, proprio come una uniforme che non va cambiata perché perfetta per ogni occasione (una sorta di canone occidentale della sciatteria), su Salon si persegue la tesi opposta, quella dello storico Thomas Frank, autore di "The Conquest of Cool": la coolness è arrivata a una fase terminale, e il normcore ne è l’inevitabile conseguenza.

    Quindi normcore non può essere una selezione della perfezione ma, al contrario, l’ultra conformismo come condizione per accedere al sognato anonimato. Si scomoda perfino la dialettica hegeliana. Inizialmente c’era l’ironia postmoderna, come il riuso del maglione del nonno senza essere un pensionato o i baffi senza essere in "Magnum P.I.", cioè la distanza dall’oggetto che viene reinterpretato, che ha successivamente ceduto campo alla sincerità (o l’autenticità), cioè il candore nel parlare dal cuore senza cinismo, poi questo: una sintesi di queste due posizioni. Essere cool imitando il gusto uncool, essere ironici ma indossando gli abiti meno significativi.

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    L’etichetta ha avuto così successo che ognuno ha cercato gli esponenti del normcore nel proprio paese. Il casual monarchico del principe William in Inghilterra e le tenute sportive di Obama negli Stati Uniti, e in Italia? Qui da noi, che abbiamo inventato l’insaputismo e i non-partiti, solo una persona può vestire i panni sciatti della non-moda. Non è la sciatteria di Matteo Renzi che si presenta da Barbara D’Urso con quella sua aria goffa, disattenta, con le maniche della giacca che gli arrivano al polso, come un rappresentante di aspirapolvere a domicilio a cui hanno prestato il vestito; neanche quella di Beppe Grillo da Vespa, con quella combinazione di rinuncia e trascuratezza: giacca e camicia lì a penzolare sulle braghe (tra parentesi: jeans). E’ quella di Gianroberto Casaleggio che, come Renzi, sembra incapace di indossare abiti della sua misura, e come Grillo ambisce al gusto malmesso della rinuncia dello stile. Lo abbiamo visto a "Otto e Mezzo" e nelle foto del suo matrimonio con un cappellino da benzinaio, scelto tra i tanti accessori per coprire una recente operazione. 

    La moda passa, la sciatteria resta. Qual è la differenza tra una persona normale e un normcore? La stessa che passa tra una Brillo box in un supermercato e una in un museo: l'intenzionalità. I normcore scelgono deliberatamente di indossare codici prodotti dalla cultura capitalista, e si riconoscono all'interno del proprio circolo sociale. Come un inside joke con livelli di interpretazione a seconda dello stare dentro o fuori. Per questo non convince in pieno la morte della coolness. E' solo un cambio di moda, il tentativo di ri-politicizzare una controcultura, quella Hipster. In tempi di rivoluzioni e disruption della classe dirigente americana, essere come chiunque è tutto ciò che resta alle classi lavoratrici. Anche se, a conti fatti, non bastano un paio di jeans sformati per essere Steve Jobs. Bisognerebbe ricordarsi di quel che scriveva Andy Warhol a proposito del successo: “Un tempo dovevi essere affidabile e vestirti bene. Guardandomi in giro direi che oggi bisogna fare le stesse cose tranne vestirsi bene. Penso che sia tutto qui. Pensare da ricco. Sembrare povero”. Il problema è pensare da ricco.