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Speciale online - Economia e religione

Ecco cosa pensi del matrimonio se sei statalista in economia

Giorgio Arfaras

Nel dibattito che si è avuto sul Foglio intorno al libro dell'economista francese Thomas Piketty, "Il Capitale nel XXI Secolo", a un certo punto è sollevata la questione se ci sia davvero chi conosce la soluzione pratica dei problemi emersi, messo che li si sia davvero messi fuoco. Se anche fosse vero che si ha una ineluttabile concentrazione della ricchezza nel corso del tempo, che cosa si fa? Si fa nulla, perché così la macchina della crescita non si inceppa, oppure si tassa per ritrovare il consenso - e se sì, quanto e che cosa?
 
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Nel dibattito che si è avuto sul Foglio intorno al libro dell'economista francese Thomas Piketty, "Il Capitale nel XXI Secolo", a un certo punto è sollevata la questione se ci sia davvero chi conosce la soluzione pratica dei problemi emersi, messo che li si sia davvero messi fuoco. Se anche fosse vero che si ha una ineluttabile concentrazione della ricchezza nel corso del tempo, che cosa si fa? Si fa nulla, perché così la macchina della crescita non si inceppa, oppure si tassa per ritrovare il consenso - e se sì, quanto e che cosa? Nessuno può avere una soluzione pratica vera, perché nessuno conosce con certezza che cosa stia accadendo. Si decide comunque in condizioni di ignoranza. E qui le strade si biforcano, fra quelli che credono che una soluzione ci sia – essa emerge quasi subito da una minoranza illuminata che sa meglio degli altri come agire, ed altri che pensano che nessuno conosca a priori la soluzione – essa emerge nel corso del tempo solo dal “tentare e sbagliare” di tutti. Possiamo dire che si hanno due scuole: quella dei “dirigisti” (laddove si assume che esista una minoranza illuminata) e quella dei “mercatisti” (laddove si assume che nessuna minoranza lo sia).

Alcuni credono che il dirigismo e mercatismo abbiano delle basi solide negli edifici teorici. Se così fosse, la scelta a favore degli uni o degli altri sarebbe il frutto dello studio. Sine ira et studio ci si applica e si decide con chi stare, perché si ha prova di che cosa sia giusto. Non è così, la differenza fra le due scuole ha – fra le molte cose – delle radici anche nella religione – come si evince dal libro di Robert Nelson "Economics as Religion". Insomma, non è affatto facile scegliere, e la scelta – più spesso che no – è alla fine “valoriale” e non “scientifica”.

Una volta, ai tempi del Paradiso Terrestre, tutti erano ignudi e vivevano cooperando in assenza di interesse individuale. Poi, commesso il Peccato Originario, si è caduti nel Presente, laddove si vive nel peccato dell’interesse individuale, ma, allo stesso tempo, si sa o si spera che nel Futuro – nel Regno dei Cieli secondo alcuni, nella Gerusalemme in terra secondo altri – si tornerà a vivere in un mondo di cooperazione senza interesse individuale. Ecco il ciclo Perfezione-Caduta-Ritorno alla Perfezione. Nell’attesa della Perfezione, abbiamo a che fare con il problema pratico della gestione collettiva dell’interesse individuale, o dell'impatto a livello individuale della gestione collettiva.

Una soluzione – la più famosa – è quella che afferma che ciascuno, facendo il proprio interesse, agisce in-intenzionalmente nella direzione dell’interesse di tutti: “Vizi privati come pubbliche virtù”. Il macellaio venderà la carne con la miglior combinazione di qualità e prezzo per attirare clientela, ma, così facendo, obbligherà gli altri macellai, che non vogliono perdere la propria clientela, a vendere la carne con la migliore combinazione di qualità e prezzo. I comportamenti dei macellai singolarmente presi sono egoistici, ma l’insieme di questi comportamenti alza il benessere dei consumatori. Sviluppando ulteriormente il concetto dell’interesse individuale, si può arrivare a mostrare come – con prezzi e salari flessibili e conoscenza simmetrica (ossia tutti hanno le informazioni necessarie) – si abbia l’equilibrio (economico generale), un luogo (logico) dove tutti sono soddisfatti. Nell’attesa della Perfezione, riusciamo a gestire il Peccato (il movente egoistico) nell’interesse di tutti. Perciò è come se non peccassimo, perché abbiamo gli stessi risultati che avremmo in un mondo in cui tutti cooperano altruisticamente. Possiamo perciò essere “innocentemente” egoisti.

[**Video_box_2**]Se i comportamenti volti a soddisfare gli interessi individuali sono virtuosi nei Mercati, lo sono anche in Politica? Se i politici si comportassero “da macellai”, ossia se tentassero di attrarre i voti con una migliore combinazione di effetti di buone politiche (una buona legislazione) al minor prezzo possibile (le imposte volte a finanziare la buona legislazione), avremmo, di nuovo, il “benessere degli elettori”, proprio come abbiamo avuto quello “dei consumatori”? Se assumiamo che tutti conoscano la migliore combinazione legislativa (se condividono lo stesso modello), e se la Politica la offre, ecco che verrà votata, e la risposta sarà un sì. Qui abbiamo un problema: mentre ciascun macellaio conosce le circostanze di tempo e di luogo in cui opera, e questo è sufficiente per il suo ben operare, nel caso del voto, nessuno conosce tutte le circostanze di tempo e di luogo, e dunque non può avere in mente un modello generale valido. Altrimenti detto, ciascuno conosce le proprie circostanze, ma non conosce quelle degli altri. Affinché tutto funzioni, è perciò necessario (in linea logica) che il modello generale valido sia offerto da qualcuno che, assente ogni interesse personale, lo pensi e lo attui. In questo modo lo schema “il mercato funziona, e, quando non funziona, si ha chi lo fa funzionare”, è chiuso con l’ingresso di un tecnocrazia, ossia con l’arrivo di chi conosce la soluzione e ha il potere di renderla pratica, senza interesse di parte. Abbiamo un mondo non simmetrico. Mentre gli individui che operano nei Mercati sono egoisti, quelli che operano in Politica sono altruisti. Niente di male, non si può realisticamente chiedere a tutti di vivere virtuosamente, infatti, alcuni saranno i fedeli e altri i sacerdoti. Nella Chiesa Cattolica i sacerdoti e le monache non hanno proprietà e sono casti, mentre ai fedeli è consentito di averla e di accoppiarsi. Il Mercato, in conclusione, è il miglior veicolo per la crescita economica – intesa come l’aumento dei beni e dei servizi a disposizione – e, quando si inceppa, ecco che arriva la Politica, che, grazie alla conoscenza offerta dagli economisti di professione, torna a farlo funzionare. La crescita economica, che è il frutto della combinazione di Mercato e Stato, è la cosa migliore per vivere materialmente bene. Il benessere materiale è alla base del miglioramento spirituale. Nell’attesa di un Al-di-là ancora migliore, ecco che possiamo vivere in un Al-di-qua gradevole. Quanto finora raccontato è lo schema del Progresso secondo i liberal statunitensi, che albergavano a Harvard e al Mit di Boston. Uno schema che ha avuto un suo perché dal 1945 al 1975. L’economia cresceva, e si aveva l’inclusione dei meno fortunati. Uno schema che per la parte pubblica era keynesiano (la regolazione del ciclo) e kennediano (la politica buona), mentre per la parte privata soddisfaceva l’individualismo radicato degli Stati Uniti. Si ha chi rimpiange questo schema di “religione laica” e trova orrendo quel che chiama, con termine vago, “neo-liberismo”.

Con ciò, gira gira, si intende quanto è stato pensato o sviluppato a Chicago. Possiamo affermare che da quelle parti è prevalso il punto di vista “luterano”, laddove sono i fedeli a farsi in proprio un’idea della Rivelazione, e i preti possono pure sposarsi. La scuola di Chicago, se è un movimento “anti-sacerdotale”, non può (“ontologicamente”) piacere a chi crede che si possa avere – seppur a fatica - un ruolo “disinteressato”, ossia “altruistico”.

Certo non può piacere l’idea che la Politica sia un luogo dove gli interessi organizzati catturano le decisioni, per il che la politica non sarebbe in grado di promuovere il “bene comune”. Né l’idea che la politica economica diventa impotente, perché anticipata dai mercati. Queste proposizioni sono “eretiche”, perché, in tal caso, i politici “buoni” non possono svolgere un ruolo attivo. Infine, oltraggio supremo, la fissazione di Chicago che i comportamenti privati degli umani abbiano, gratta gratta, alla base il calcolo. Altrimenti detto, tutti gli umani vivono in una condizione di Peccato perenne, perché è assente ogni “devozione altruistica”.

L’analisi economica del matrimonio sostiene che è nell’interesse del marito (della moglie) che la moglie (il marito) non possa lasciarlo (la), perché così può investire di più su di lei (lui), con un rischio nullo, salvo il caso di vedovanza. Si ha perciò un accordo di lungo termine, dove il costo complessivo dei servizi affettivi può essere ridotto rispetto alle alternative. Ossia, se nessuno si sposasse, si potrebbero avere dei mercati a pronti di servizi affettivi, che però potrebbero costare di più di un matrimonio duraturo. Proprio come una fabbrica che ha bisogno di carbone ha dei contratti di fornitura a lungo termine (il matrimonio), ma ogni tanto ha bisogno di una quantità di carbone in eccesso che troverà sul mercato a pronti (la prostituzione, le corna).

Nel mondo keynesiano-kennediano ci sono i mercati e la politica è in grado di chiudere il cerchio promuovendo il benessere, grazie ai sacerdoti. Nel mondo di Chicago ci sono i mercati e la politica ha molta meno importanza ai fini del “benessere”, anzi può distorcere le cose. Perciò meno politica si ha, ossia meno sacerdoti ci sono, meglio è. Chi ha una debolezza verso il sacerdozio detesta la scuola di Chicago, chi, al contrario, lo detesta, è “neo-liberista”.

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