Perché sarebbe meglio un'Ucraina federale e fuori dalla Nato

Massimo Boffa

Chi, per spiegare gli eventi di Ucraina, evoca il “neoimperialismo” russo manipola la realtà dei fatti. Non a caso, nelle sue narrazioni, rimuove proprio l’evento da cui tutto ha avuto inizio, quello che ha fatto precipitare la crisi. Il 22 febbraio, il presidente legittimamente eletto è stato cacciato a furor di piazza e al suo posto, con la benedizione dell’occidente, invece che un governo di coalizione (come previsto dagli accordi del giorno prima sottoscritti anche da Francia, Germania e Polonia), è stato insediato un potere espresso dai rivoltosi del Maidan.

    Chi, per spiegare gli eventi di Ucraina, evoca il “neoimperialismo” russo manipola la realtà dei fatti. Non a caso, nelle sue narrazioni, rimuove proprio l’evento da cui tutto ha avuto inizio, quello che ha fatto precipitare la crisi. Il 22 febbraio, il presidente legittimamente eletto è stato cacciato a furor di piazza e al suo posto, con la benedizione dell’occidente, invece che un governo di coalizione (come previsto dagli accordi del giorno prima sottoscritti anche da Francia, Germania e Polonia), è stato insediato un potere espresso dai rivoltosi del Maidan. Il problema non sta tanto nella illegittimità formale del “colpo” di Kiev. Sta piuttosto nel fatto che l’Ucraina è uno stato che si reggeva su un delicatissimo equilibrio: le regioni sud-orientali sono storicamente legate alla Russia, quelle occidentali alla Mitteleuropa. Avere voluto spezzare in modo unilaterale quel delicato equilibrio ha provocato tutta la sequenza di gravissimi avvenimenti che è sotto ai nostri occhi. E, finché un equilibrio non sarà ritrovato, la crisi non si risolverà.

    La secessione e annessione della Crimea è stata la prima, prevedibilissima, direi quasi naturale, conseguenza di quella forzatura. Lo sciagurato precedente del Kosovo, di cui a Mosca nessuno si era dimenticato, è venuto a fornire la cornice legale. Nonostante ancora ci si arrampichi sugli specchi per negare ogni analogia tra il Kosovo e la Crimea, l’unica grande differenza tra i due casi, differenza non da poco, è che la secessione del Kosovo è arrivata dopo un mese di bombardamenti Nato su Belgrado, mentre in Crimea non si è praticamente sparato un colpo.

    Ma la secessione della Crimea non ha ristabilito l’equilibrio infranto. C’è il problema delle regioni sud-orientali. Problema che non riguarda solo la volontà delle popolazioni russofone ma anche quello che la Russia considera un requisito vitale della sua sicurezza: come l’America non avrebbe mai accettato missili a Cuba, così la Russia non potrà mai accettare truppe Nato lungo la sua frontiera con l’Ucraina. Ora che Stati Uniti ed Europa si sono cacciati in questo pasticcio, propiziando sconsideratamente il colpo di Kiev, hanno il dovere di trovare, insieme alla Russia, una soluzione negoziata. Mosca ha avanzato una proposta: che l’Ucraina si dia una costituzione federale, con ampia autonomia per le regioni dell’est, e che rimanga neutrale, cioè non entri nella Nato. Questa soluzione, considerata ragionevole da personalità come Helmut Schmidt, Henry Kissinger, Sergio Romano e tanti altri, non certo sospettabili di ostilità verso gli Stati Uniti, viene sprezzantemente respinta da Kiev e da Washington. Ma al punto a cui sono giunte le cose, chi la rifiuta, o ne rifiuta altre solo perché accettabili da Mosca, lavora pericolosamente per la guerra. C’è chi obietta che negoziare con 40 mila soldati russi lungo il confine è come negoziare con una pistola sul tavolo. E’ vero, ma bisognerebbe anche ricordare che la pistola degli altri, a Kiev, ha già sparato.