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L’anti Mourinho

Beppe Di Corrado

I capelli sono l’unica cosa che fa ridere di Diego Pablo Simeone. Fuori dal tempo per coprire uno spazio: li tira indietro col gel per nascondere un pezzo di calvizie che si nota lo stesso. Non è mai stato un sex symbol, Simeone. Però piace. Uno di quei personaggi che da avversario puoi detestare, poi quando smetti ammiri perché in fin dei conti l’avresti voluto nella tua squadra. Succedeva da giocatore, ora da allenatore. Il Simeonismo è una metacultura pallonara: è il prendere tutto sul serio, senza concedersi tregue e senza concederne ad altri. Non c’è ironia. Simeone piace perché non ha sovrastrutture mediatiche, o quanto meno questo è ciò che lascia capire di sé. Diceva e dice: “Nell’Inter ho giocato con Ronaldo.

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I capelli sono l’unica cosa che fa ridere di Diego Pablo Simeone. Fuori dal tempo per coprire uno spazio: li tira indietro col gel per nascondere un pezzo di calvizie che si nota lo stesso. Non è mai stato un sex symbol, Simeone. Però piace. Uno di quei personaggi che da avversario puoi detestare, poi quando smetti ammiri perché in fin dei conti l’avresti voluto nella tua squadra. Succedeva da giocatore, ora da allenatore. Il Simeonismo è una metacultura pallonara: è il prendere tutto sul serio, senza concedersi tregue e senza concederne ad altri. Non c’è ironia. Simeone piace perché non ha sovrastrutture mediatiche, o quanto meno questo è ciò che lascia capire di sé. Diceva e dice: “Nell’Inter ho giocato con Ronaldo. Ricordo che nel tunnel degli spogliatoi, luogo in cui tutti i nervosismi si incontrano, lui faceva battute. La cosa non mi entusiasmava. O meglio: invidiavo ma non condividevo il fatto che lui andasse in campo per divertirsi. Nel tunnel, come nella vita, Ronaldo era un tipo rilassato, tranquillo, scherzava di continuo. Io mi concentravo pensando solo alla partita, e sono così ancora adesso”. Il Simeonismo è differente dal Mourinhismo al quale oggi in molti l’associano per comodità.

Diego non c’entra con José, per come è arrivato in panchina e per come si muove. Uno non ha mai giocato, l’altro è come se giocasse ancora. Mou uno come Ronaldo lo prenderebbe subito, lo gestirebbe, lo esalterebbe, lo sfrutterebbe. Simeone chiederebbe alla società di non prenderlo e se ce l’avesse già chiederebbe di venderlo. Che poi all’Inter avvenne il contrario: siccome non potevano convivere, la società decise di venderne uno, e ovviamente fu Simeone. Non è che non ami i campioni, Diego. Perché questo è un equivoco in cui sarebbe facile cadere. Forse qualcuno c’è già caduto dipingendo l’Atletico di Simeone come una squadra senza qualità particolari, fatta di agonismo, grinta, carattere, voglia, organizzazione e poca classe. Non è così: ci sono campioni, talento, forza, tecnica. Simeone sembra coprire tutto con una leadership incredibile, con un modo di muoversi in panchina che lo fa sembrare da solo contro il mondo. Ma sotto le urla che partono dalla sua panchina ci sono Diego Costa, David Villa, Arda Turan, Diego Silva, Koke, Gabi: giocatori da favola che rispondono a un preciso disegno dell’allenatore. A lui hanno venduto Falcao, 30 gol a stagione, e ha ringraziato. Perché preferiva altri, ma non è che preferisse brocchi. La grinta, per qualcuno anche la cattiveria dell’Atletico, è un aspetto del suo gioco, come è un aspetto del suo allenatore. Dentro, però, c’è un sacco di altra roba che poi è la ragione di risultati che a nessuno pareva fossero possibili all’inizio della stagione.

Perché bisogna ricordare che la semifinale di Champions League è accompagnata dal primo posto nella Liga. Quel campionato che tutti raccontano come noioso e ristretto a sole due squadre quest’anno rischia di essere dell’Atletico: 79 punti, uno più del Barcellona, due più del Real Madrid. Diverso l’atteggiamento e diverso anche il modo di giocare, sì. L’Atletico è primo avendo fatto meno gol degli avversari (70 contro i 92 del Barcellona e i 90 del Real), ma avendone subiti meno di tutti: 22 contro i 26 del Barça e i 32 del Real. Non è statistica, è sostanza. Non aver mai perso con il Barcellona tra campionato e Champions, aver vinto all’andata e pareggiato al ritorno con il Real in campionato non sono noccioline. E’ un’idea di gioco che non si spiega con la grinta. Quella è la patina che copre la ciccia. Simeone ha ereditato una parte del lavoro che ha fatto il Borussia l’anno scorso: essere l’alternativa al gioco da migliaia di passaggi del Barcellona o a quello diverso ma sempre con molto possesso della palla del Real. Pochi tocchi ma in profondità, un attaccante centrale che prende botte, tiene il pallone, segna e fa spazio per gli altri, un sacco di centrocampisti che salgono e arrivano al tiro.

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E’ uno spettacolo diverso, calibrato sull’identità dell’allenatore. Ferguson riusciva a far giocare il Manchester in maniera opposta a come avrebbe giocato lui. Simeone fa il contrario. Per questo è come se giocasse ancora lui. Per il modo di stare in campo e per l’atteggiamento e il risultato: era un centrocampista da tanti gol e i suoi centrocampisti fanno tanti gol, motivo per cui l’Atletico è la squadra europea che ha segnato con più giocatori in Champions. Dettagli che non sono dettagli, come sempre.
 

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