Io, cattolico di destra (tendenza Giovanardi), favorevole alla cannabis

Camillo Langone

Io sono un conservatore, sono un cattolico praticante, sono un uomo di destra (della destra divina, chiaro), e sono un potenziale elettore di Giovanardi (se collegi e leggi elettorali mi consentiranno di dare una preferenza personale al senatore modenese sicuramente gliela darò). Per ciò, e non a dispetto di ciò, sono moderatamente favorevole alla cannabis libera. L’avverbio è importante e fa l’uomo di destra che, conviene ricordarlo, si caratterizza per realismo e pessimismo: io non credo che legalizzare le canne conduca al paradiso in terra, sono mica un pannelliano.

Rizzini Sarà la crisi, o forse no, ma la marijuana è il nuovo nero

    Io sono un conservatore, sono un cattolico praticante, sono un uomo di destra (della destra divina, chiaro), e sono un potenziale elettore di Giovanardi (se collegi e leggi elettorali mi consentiranno di dare una preferenza personale al senatore modenese sicuramente gliela darò). Per ciò, e non a dispetto di ciò, sono moderatamente favorevole alla cannabis libera. L’avverbio è importante e fa l’uomo di destra che, conviene ricordarlo, si caratterizza per realismo e pessimismo: io non credo che legalizzare le canne conduca al paradiso in terra, sono mica un pannelliano. Io penso che legalizzarle sia quel male minore teorizzato da uomini infinitamente più santi e più sapienti di me, di Carlo Giovanardi e di Maurizio Gasparri messi insieme, e parlo di Agostino d’Ippona e Tommaso d’Aquino. Quindi non intendo accapigliarmi: in questa materia l’intreccio fra ragioni e torti è ancora più intricato del solito.

    Resta che sono per la cannabis libera. E sono ancor più per rompere il cieco automatismo di un conservatorismo non realistico ma ideologico, contraddittorio in termini, secondo il quale chi dice no all’aborto e all’eutanasia e all’eugenetica deve per forza dire no alla droga: non vedo il nesso. La cosa che conta innanzitutto conservare è la ragione e vorrei che ogni sì e ogni no fosse singolarmente motivato. Secondo me il no pubblico ad alcune droghe non è motivato abbastanza, dietro certe indignazioni ci sento un riflesso pavloviano, qualcosa di canino più che di umano. Noi uomini d’ordine dovremmo invece gioire al pensiero che il problema venga strappato dalle mani degli spacciatori africani per essere affidato a quelle dei farmacisti italiani. E in quanto contribuenti dovremmo guardare con speranza a una legge capace di ridurre del 30 o 40 per cento il numero dei detenuti, sono così tanti quelli dentro per droga, esimendoci dal finanziare l’altrimenti inevitabile costruzione di nuove carceri. E’ molto più adeguatamente motivato il mio no personale: da quando Claudio Risé mi disse che la cannabis non è più quella di una volta, che le nuove varietà sono molto più potenti e pericolose per la psiche, mi impegno, durante le festicciole, a rifiutare svuotini e cannoni. Se ci fosse una droga, anche illegalissima, che fa diventare più intelligenti, la comprerei di corsa, ma una droga che fa diventare più deficienti (più deficienti ancora?) no grazie, nemmeno gratis. E pure questa accresciuta nocività della cannabis clandestina dimostra l’utilità della legalizzazione: per tenere sotto controllo i principi attivi bisogna produrli in modo controllato, non in modo vietato.

    Da uomo di destra (della destra divina, ripeto, che di quella profana non so che farmene) mi sovviene soltanto che mentre nessun Padre della chiesa ha mai riprovato il black afghano, molti Padri della Destra, da Baudelaire a Jünger, furono consumatori e financo teorizzatori dei paradisi artificiali. Da cattolico praticante, da assiduo lettore, in privato e in pubblico, della Bibbia, cerco di capire come mai sua eccellenza Mogavero, sua eminenza Schönborn, sua onorevolenza Lupi (devo l’elenco a Mario Palmaro che più di me ha lo stomaco per seguire simili personaggi) sono in vario modo possibilisti sul riconoscimento delle coppie omosessuali, mentre dai medesimi pulpiti mai mi è giunta una parola buona circa la liberalizzazione di hashish e marijuana. L’unica risposta che sono riuscito a darmi si chiama apostasia: aderiscono, loro tre più i noti mangiaostie a tradimento che capeggiano partiti e governi, a una religione fai-da-te la cui morale riproduce tendenze mondane e convenienze politiche.

    Liberalizzare la cannabis non metterebbe in discussione una virgola della Sacra Scrittura, viceversa l’approvazione (imminente?) del reato di omofobia metterebbe sotto scacco, a rischio di censura, l’intera Parola di Dio dalla Genesi alle Lettere di San Paolo. C’è tutto un mondo che si impunta su un dettaglio irrilevante pur di non battersi sull’essenziale. Libero di farlo, ma non di definirsi conservatore, o di destra, o cattolico, o cristiano.

    Rizzini Sarà la crisi, o forse no, ma la marijuana è il nuovo nero

    • Camillo Langone
    • Vive tra Parma e Trani. Scrive sui giornali e pubblica libri: l'ultimo è "La ragazza immortale" (La nave di Teseo).