Tanto gentile e tanto onesto è Toti, l'uomo della Leopolda berlusconiana

Marianna Rizzini

Nel “cherchez l’homme” che è diventata l’attesa della rivoluzione neoberlusconiana c’è un nome ricorrente: Giovanni Toti, quarantacinquenne direttore di Studio Aperto e del Tg4 nel dopo Emilio Fede, da quasi vent’anni in Mediaset. Non un uomo nuovo nel vero senso della parola. Non ancora un politico e non più soltanto un giornalista, se è vero che da tempo Toti è assiduo al desco di Arcore (le decisioni prese o non prese a tavola sono un aspetto del Cav. che va molto a genio a Toti e viceversa, dice chi li conosce entrambi).

    Nel “cherchez l’homme” che è diventata l’attesa della rivoluzione neoberlusconiana c’è un nome ricorrente: Giovanni Toti, quarantacinquenne direttore di Studio Aperto e del Tg4 nel dopo Emilio Fede, da quasi vent’anni in Mediaset. Non un uomo nuovo nel vero senso della parola. Non ancora un politico e non più soltanto un giornalista, se è vero che da tempo Toti è assiduo al desco di Arcore (le decisioni prese o non prese a tavola sono un aspetto del Cav. che va molto a genio a Toti e viceversa, dice chi li conosce entrambi). Per dirla con Paolo Liguori, poi, uno che Toti l’ha assunto agli albori della sua carriera a Mediaset, il possibile uomo nuovo “non sembrerebbe, a prima vista, e per carattere, neppure un tipico giornalista: è gentile, mite, onesto, mediatore, poco incline alla minacciosità. Queste stesse caratteristiche fanno sì che sia difficile immaginarselo in politica, a meno che il nuovo secolo non abbia spazzato via la verità novecentesca colta da Rino Formica sulla politica ‘sangue e merda’, sostituendola con l’idea di una politica fatta di buoni tavoli, buoni vini e una soluzione da trovare”.

    “Educato, ragionevole, con il pallino dell’info-politica anglosassone”. Questo è l’identikit che più di un osservatore di ambienti berlusconiani fa di Giovanni Toti, ex giovane socialista (alla fine degli anni Ottanta) ed ex ragazzone partito dalla Toscana marittima (Massa, Viareggio, Forte dei Marmi) alla volta di Milano, dove, nel ’96, uno stage segnò l’inizio di una carriera tutta interna alle news (a parte l’esperienza alla comunicazione aziendale con Mauro Crippa). Ma com’è diventato, Toti, ufficiale di collegamento tra azienda e Arcore, ultimamente molto presente alle riunioni in cui si discetta del “che fare?”. Di lui si parla molto, infatti, in questi giorni sospesi tra la fine dell’annus horribilis del Cav. e l’inizio non ancora definito della seconda Forza Italia. “Un triumvirato, Berlusconi vuole un triumvirato”, dicevano qualche giorno fa i muri del Transatlantico natalizio, e c’era chi si divertiva a scomporlo e ricomporlo, il triumvirato ipotetico, e c’era chi ci vedeva Toti con Simone Furlan e Antonio Palmieri e chi ci vedeva Toti con Mara Carfagna e Antonio Tajani – e alla fine l’unica costante del futuro ipotetico era lui, Toti.

    Che cosa debba fare il triumvirato esattamente non si sa. Quando e se debba entrare in funzione nemmeno. Ma il sussurro di fine anno indica una data, il 26 gennaio (anniversario della discesa in campo solitaria del Cav.) per un nuovo e quasi-solitario scavalcamento di volontà di varie vecchie guardie: il 26 gennaio, una convention e un Toti coordinatore, con altri, di un partito liquido, all’americana, leggero nella forma, agile nei contenuti (“vicino ai problemi delle persone”, dicono speranzosi i fan), non appesantito da propaggini troppo territoriali, capace di prendere forma da una kermesse dall’aria rinnovatrice (“la Leopolda di centrodestra”, scherzano i colleghi che ricordano un Toti che presenta il libro di Renzi alla Versiliana e un Toti molto attento ai ricaschi mediatici del fenomeno-Renzi, convinto com’è che comunicazione e politica – mondi separati da confini labili – non siano più del tutto scindibili). E però Toti ha mantenuto buoni rapporti con Angelino Alfano, motivo per cui chi l’ha sentito parlare in questi giorni racconta l’idea dei “due cantieri”: un cantiere per rifondare Forza Italia e un cantiere per rifondare il centrodestra dopo una scissione che stride con la storia del Berlusconi che, nei momenti di scatto di volontà, ha messo insieme il non unificabile (nord e sud, leghisti e post fascisti). Ed è in questi mesi di dubbi e drammi e ripensamenti e giravolte del Cav. che è diventata più concreta la possibile metamorfosi in veste politica del giornalista Toti, rassicurante nei toni sia per il Cav. sia per Mediaset, visti i suoi buoni rapporti con Mauro Crippa, Fedele Confalonieri e Pier Silvio Berlusconi, e vista la sua lunga consuetudine di “ambasciatore” di Mediaset presso il Cav. (Toti era quello che andava, parlava, riferiva, tornava e, dice un collega, “evitava di privatizzare il rapporto di fiducia con Berlusconi, con tanto di guadagnato per tutti”). Dopodiché tutti, intorno a Toti, sentono dire a Toti che, “se non ci sono le condizioni”, lui resta “molto volentieri” a fare quello che fa.

    Ma ormai l’arcano del triumvirato ha acceso le fantasie di Capodanno e il discreto Toti, defilato dalla prima linea ruggente della mondanità, è diventato argomento di conversazione: che fa?, chi frequenta? dove va? L’arcano è alimentato anche da un altro fatto: Toti è sposato con Siria Magri, già vicedirettore di Videonews, curatrice di vari programmi Mediaset (è capostruttura di “Quarto grado”) e garbata “macchina da guerra” dell’informazione secondo gli estimatori. “Sembrano Paolo Del Debbio e Gina Nieri del ’94”, dice chi vede in loro una riedizione del primo ed efficiente esempio di “coppia aziendale”. Eppure, fuori da Mediaset, il mondo di Toti è rimasto un mondo da ex ragazzo tranquillo di provincia, figlio di albergatori di Massa ora proprietari di una villetta trifamiliare a Bocca di Magra – terra di confine tra Liguria e Toscana, tra il monte e il mare, a pochi chilometri dai luoghi preferiti dal Toti gourmet, quello che mangia il “tordello” da Beppino a Pietrasanta e beve l’aperitivo all’Almarosa al Forte (“con Toti non sbagli”, dicono gli amici che si fidano ciecamente del suo senso infallibile per i ristoranti, e ora sperano vivamente che abbia fiuto anche per la politica).

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.