Dolce settembre

Annalena Benini

Tesoro, non devo neanche dirti che con quegli shorts a scuola non ci vai, vero? La ragazza distoglie lo sguardo dalla chat del BlackBerry, infastidita: “E perché, mamma?”. “Così ti vesti per andare in spiaggia, ma non ci vai in quarta ginnasio”. La ragazza strabuzza gli occhi, digita velocissima sulla tastiera (racconta in tempo reale alle amiche l’ultimo affronto della madre): “Quindi che cosa dovrei mettermi secondo te, un grembiule?”, “Un paio di jeans, hai l’armadio pieno”. “Sì, e poi mi dai anche la merendina e un bacio in fronte. Comincio la scuola come una sfigata, grazie mille”. “Ma perché, da quando i jeans sono da sfigata?”.

    Tesoro, non devo neanche dirti che con quegli shorts a scuola non ci vai, vero? La ragazza distoglie lo sguardo dalla chat del BlackBerry, infastidita: “E perché, mamma?”. “Così ti vesti per andare in spiaggia, ma non ci vai in quarta ginnasio”. La ragazza strabuzza gli occhi, digita velocissima sulla tastiera (racconta in tempo reale alle amiche l’ultimo affronto della madre): “Quindi che cosa dovrei mettermi secondo te, un grembiule?”, “Un paio di jeans, hai l’armadio pieno”. “Sì, e poi mi dai anche la merendina e un bacio in fronte. Comincio la scuola come una sfigata, grazie mille”. “Ma perché, da quando i jeans sono da sfigata?”. La ragazza rivolge alla madre uno sguardo carico di eye liner e di qualcos’altro che assomiglia alla pietà: “Ma vi siete viste, tu e le tue amiche?”, e corre a chiudersi in camera, fiera di sbattere la porta e di dare così inizio all’anno nuovo. E’ arrivato settembre, anche se c’è ancora qualcuno convinto che si debba brindare il trentun dicembre, a mezzanotte. L’anno nuovo comincia quando riaprono le scuole: se l’estate è stata molto faticosa (“ciao come stai, come è andata l’estate”, “bene, grazie a Dio è finita”), i genitori aspettano fiduciosi la mattina in cui, preparata una buona colazione, lanceranno finalmente i figli nel cortile della scuola con una catapulta, e fuggiranno ognuno verso la propria ritrovata libertà. Buongiorno maestra, come sta, ha fatto buone vacanze? Luigino, perché non saluti la maestra? No tesoro, non devi dare i pugni alla maestra. Scusi maestra, ma devo proprio scappare, Luigino sii bravo. Il senso di liberazione e di nuovo inizio fa sì che settembre sia il più dolce dei mesi, per il Guardian è il mese della sigaretta dopo l’amore, quando sembra che niente possa andare storto: ad agosto si fanno di solito i buoni propositi per settembre (mi metto a dieta, imparo il francese, vado a correre la mattina presto, sistemo le cose e vado in Africa) e i propositi durano, appunto, fino alla fine di settembre, ma danno sempre una lieve euforia, la sensazione che qualcosa stia per cambiare in meglio. La speranza che sarà questo l’inverno giusto, la vita dolce: si assapora già quasi l’appagamento della perfezione che verrà. Ci saranno regole condivise, studiate d’estate sui libri (oltre ai libri erotici, molti leggono manuali per non farsi mettere i piedi in testa, per crescere figli maschi, figlie femmine, per superare i sensi di colpa, per avere tutto e per essere felici con niente). “Viola, perché non approfitti di questi ultimi giorni prima dell’inizio della scuola per mettere un po’ a posto la tua stanza? Liberi la scrivania, vai a vendere i libri delle medie e fai posto per quelli nuovi, ti stacchi un po’ da Facebook, da Twitter, da Instagram”, dice la madre piena di buoni propositi di settembre, tra cui: non mi lascerò sopraffare dall’adolescenza di mia figlia, sarò calma, affettuosa e ferma e lei tornerà a essere la mia bambina. La bambina di quattordici anni con gli shorts a vita alta e i capelli raccolti sopra la nuca adesso è arrabbiata: “Tu mi vuoi rovinare la vita! Tu vuoi che io sia una poveretta senza amici e senza relazioni sociali, una secchiona che non esce mai di casa come eri tuuu”. La madre resiste, sa che le mancano pochi giorni prima di potersi finalmente fumare quella sigaretta post coito: “Veramente,  amore, volevo solo accertarmi che ci fosse ancora la tua scrivania sotto quella montagna di vestiti”. La ragazza alza il mento: “E’ la mia scrivania, sono i miei vestiti e non è colpa mia se tu fai una vita triste”, poi riabbassa il mento, le squilla il telefono: “Oddio no, non è vero, non posso essere in C, svegliatemi da questo incubo” e comincia a piangere. Stasera non è ancora il tempo della vita dolce, perché la ragazza, quattordici anni, ha scoperto che sarà nella sezione più difficile del liceo, quella dove ci sono i professori sadici, adesso minaccia di uccidersi se la madre non la sposta immediatamente in D. “Non lo capisci che è una tragedia, mi bocceranno, è colpa tua, mi dai cinquanta euro che vado a mangiare la pizza con Lavinia?”. Davanti all’ufficio della vicepreside, il giorno dopo, c’è la fila di madri preoccupate (“mi scusi ma dicono che poi i ragazzi devono andare in analisi, certi si svegliano la notte urlando: aoristo!, diventano inappetenti, scappano di casa, insomma voglio prevenire il problema”), ed è lì, guardando quelle madri schiavizzate da altre quattordicenni in shorts a vita alta e cellulare incollato alla mano, che la decisione viene presa: niente cambio di sezione adesso, ne riparliamo forse l’anno prossimo. La ragazza ha pianto e ha messo un post su Facebook (“preparo le borse, saluto le stronze, prendo dodici sbronze solo per dimenticare i forse”) che ha avuto molti pollici di approvazione, quindi non è più troppo disperata perché il successo nella vita sociale è la prima condizione di felicità fin dalla prima media, così ha perfino aperto la porta della stanza per lasciare entrare suo fratello che andrà in seconda elementare, ha chiesto lo zaino di Capitan America e ha scritto un racconto come compito delle vacanze: “C’era una volta un giagguaro che crescendo diventò ribelle e visse libero e felice”. Settembre è tornato a essere dolce.

    In tutte le case ci si prepara per la scuola (la sigaretta post coito è spesso accompagnata da una birra stappata, in totale solitudine, alle otto del mattino), si va alle riunioni del Nido, si riempiono con un po’ di trepidazione cartelle di Barbapapà con merende e un cambio di vestiti, per quando i piccoli si dimenticano che esiste il bagno, si comprano scarpe nuove perché d’estate di solito cresce il piede. La liberazione va, per alcuni, a braccetto con l’ansia da distacco: se si tratta del primo giorno di scuola materna o di prima elementare può succedere che, durante tutto il mese di settembre, a ogni squillo di telefono e perfino a ogni sirena di ambulanza il cuore salti in gola (una maestra ha scritto su un giornale: state tranquilli, i vostri figli sono al sicuro, al massimo l’ambulanza era per qualcuna di noi; la copertina di New Republic di questa settimana è dedicata, infatti, alla difesa dei “bambini selvaggi”, quelli che non vogliono stare seduti a un banco per più di otto secondi, quelli che non tengono mai ferme le gambe, le mani, la testa, quelli che vogliono giocare sempre, e a cui i maestri americani troppo spesso consigliano “terapie dell’attenzione”, aiuto esterno, psicologi, medicine). Settembre diventa così anche un mese struggente: il fantasma dolce dell’estate legato in modo indissolubile all’attesa del lungo inverno, con gli incastri per la piscina, il ritardo del mattino, le crisi per i compiti, la lotta per metterli a letto la sera, dopo che, in agosto, si è permesso di tutto, anche il bagno di mezzanotte, anche niente shampoo (una madre separata ha accolto i figli dopo le vacanze al mare con il papà e i suoi amici: selvaggiamente felici, selvaggiamente abbronzati, selvaggiamente pieni di uova di pidocchi, così quella prima sera di settembre è passata tra gioiose lavatrici da guerra a cento gradi, pettinino di ferro, districamento di nodi e, la mattina dopo, parrucchiere cinese di emergenza): a settembre bisogna redistribuire le regole, anche inventarne di nuove, sull’onda dell’ottimismo che ogni volta ci prende davanti a un inizio. “Facciamo un nuovo proposito per il nuovo anno, che ne dici?”. La ragazza di quattordici anni è sdraiata sul divano e chatta. “Tipo che mi lasci uscire il venerdì sera?”. La madre finge di non avere sentito e sorride, non lascerà che l’idillio di settembre si trasformi così in fretta in september blues: “Tipo che la sera mi aiuti ad apparecchiare e a sparecchiare”. “Ma devo fare sempre tutto io? Questa vita è un inferno, tu mi soffochi, ho appena messo via la valigia del mare, a proposito vado a dormire da Ilaria stasera, ok? Sua madre è davvero simpatica”. La valigia del mare in effetti è stata messa via, dopo molto richieste: è dentro l’armadio, appoggiata sopra la pila dei jeans, chiusa e traboccante dei vestiti sporchi delle vacanze. Molte madri accarezzano un sogno di settembre: trasformare il figlio selvaggio in un figlio che suona il violino ogni pomeriggio, che si concentra al corso di nuoto invece di schizzare l’acqua in giro e fingere di annegare almeno una volta a lezione, e che consentirà ai genitori di andare alle riunioni con gli insegnanti senza quel nodo in gola. Per qualcuno, settembre è un nuovo tunnel. “Non ti ascolta. Tu parli ma lui gioca col cellulare. Scrive sui banchi. Entra alla seconda ora perché, dice, si è svegliato tardi. Non ha i libri, dimentica il quaderno, rompe le penne, straccia il foglio, interrompe i discorsi. Falsifica la firma del padre. Scrive ‘vado ha casa’. Dice ‘sette per otto quarantotto’. Invece di seguire la spiegazione, dorme con la fronte appoggiata sul gomito”. I suoi problemi diventano i tuoi, scrive in “Elogio del ripetente” (Mondadori) Eraldo Affinati, insegnante, scrittore impegnato con i ragazzi difficili. “Ch’hai detto professò?”, “vieni a fare il dettato”, “lassa perde. Nun è aria”. E l’ora zero dell’adolescenza, sono ragazzi complicati dentro scuole di recupero anni, corsi professionali ai margini della città, sono tempeste ormonali e cerebrali insieme, è il settembre entusiasmante di un professore che ci crede ancora: “Per me questo è il richiamo della foresta: mi torna in mente il cortile spoglio dove stavo alla loro età, in mezzo alle biciclette arrugginite, agli escrementi dei piccioni, nella solitudine atroce dei pomeriggi vuoti. Allora ho l’impressione di capire tutto. D’improvviso mi rianimo. La prima cosa che faccio è nominare i capiclasse”.

    Perché sempre, a settembre, ci ritornano in mente i nostri settembre. Quando si impiegavano ore a scegliere il nuovo diario, quando si poteva impazzire se la Smemoranda era esaurita, quando ci si telefonava a casa di pomeriggio, ma non troppo presto per non disturbare, e si provava a capire se poi, il primo giorno, ci saremmo messi in banco insieme, ma senza il coraggio di chiederlo direttamente: si parlava d’altro, di posti di mare, di cartoline e di compiti non fatti, con il solo intento di scoprire se si era ancora amici o se l’estate aveva travolto tutto, se quei tre mesi erano diventati tre anni, se a lei erano cresciute le tette e a te no. “Ma quando tu andavi al liceo non c’erano i telefoni?”, chiede la ragazza di quattordici anni che ha appena scritto: “Sei la mia vita”, con tre cuori, accanto alla foto di una sua amica su Facebook. “Ma scusa, non sono nata nel Paleozoico, non c’erano i cellulari, ma i telefoni sì”. “Non c’erano i cellulari??!!”, grida la ragazza, come se la madre le avesse detto: è ora che impari a cavartela da sola, cercati un posto dove vivere e un lavoro di notte. “Niente cellulari, e nemmeno Internet, Facebook, gli sms e le chat, però c’erano le cabine telefoniche a gettone”. “Adesso capisco perché sei così”, dice la ragazza con un tono che all’improvviso assomiglia alla tenerezza, e ha perfino svuotato la valigia del mare, e forse non è più necessario che settembre sia il mese della trasformazione in madre cinese tigre che non permetterà alla pigrizia occidentale di sciupare il futuro di conquista ai figli. Forse non è più necessario nemmeno sentirsi in colpa ogni volta, quando alla prima riunione dei genitori a scuola si arriverà in ritardo e si dirà che anche quest’anno proprio è impossibile fare la rappresentante di classe, è un anno complicato, sì anche l’anno scorso, ma davvero ci avrei tenuto, ma perché non proviamo a chiedere ai padri? A quel punto, le madri più gentili ridono, alcune si indignano, ci prendi in giro? Nel settembre fifty-fifty, che potrebbe essere la nuova formula della felicità, con i compiti familiari divisi al cinquanta per cento tra i due genitori, ci sono comunque cose che sembra ancora immorale chiedere ai padri (raccolta soldi per il corso di teatro, ricerca del diario di Violetta, informazioni sul nuovo orario scolastico, bizzarre assunzioni di responsabilità: mamma, i miei capelli fanno schifo, è tutta colpa tua che mi hai fatto riccia). Ma poiché tutto cambia (“cambia lo superficial, cambia también lo profundo, cambia el modo de pensar, cambia todo en este mundo”), settembre è anche il mese delle sorprese e delle nuove interpretazioni della realtà. Durante le vacanze e durante le non vacanze, in questo agosto che non finiva mai, in ogni spostamento, in ogni bagaglio, in ogni fine settimana il libro dei compiti delle vacanze veniva trasferito di valigia in valigia, e ogni volta annunciato a gran voce: “Il libro dei compiti lo metto qui, così non si rovina”, “non dimenticare il libro dei compiti”, “poi appena arriviamo si fanno i compiti”. Era un modo per sembrare responsabili, pur senza dirci: ma i compiti, mica li sta facendo. Da metà giugno in avanti il libro dei compiti è stato il nostro compagno d’estate e anche la frase pronunciata di tanto in tanto, per sentirne il suono e per provocare smarrimento: su, adesso fai un po’ di compiti. Ma la bambina sentiva la fiacchezza di queste esortazioni, e io ero la solita incosciente che contesta i compiti di seconda elementare (“ma legge un sacco di Topolino, non basta?”, “quando la maestra le controllerà i compiti, la bambina che cosa dirà: ho letto Topolino?”, “la maestra non li controlla, vedrai, erano facoltativi”, “sei l’Italia peggiore, e anzi una volta ti ho visto che buttavi i giornali nella carta senza togliere il cellophane”). E’ arrivato settembre, le diffamazioni continuavano e il libro era sempre nella tasca della valigia. Adesso, piccoletta, bisogna proprio che fai i compiti, un paio d’ore al giorno e finiamo il libro. Il libro però si autoalimentava con grande ferocia, stava per distruggere la dolcezza di settembre. Per ogni esercizio fatto sulla g dolce e la g dura ne comparivano tre sugli insiemi di mele e di pere. Le giornate si accorciavano e il libro si allungava, il tempo passava e la bambina sfioriva. Poi una mattina c’è stata una riunione coniugale in bagno, la riunione del todo cambia, del ribaltamento di settembre: “Ho preso una decisione, lo butto via”. “butti via che cosa?”, ho detto io pensando a un quadro orribile che sta, appunto, in bagno. “Quel maledetto libro delle vacanze. E poi dico a tutti, anche alla maestra, che l’ho perso durante un trasloco”. “Ma è un reato!”. Finalmente il colpevole non ero io, e settembre era di nuovo il più dolce dei mesi, era la Gauloise fumata di nascosto, in penombra. “Non è un reato, è un segreto, e comunque ha letto un sacco di Topolino quest’estate”. “E’ un grave errore”. “Va bene, allora diciamo che il libro l’hai perso tu”.

    • Annalena Benini
    • Annalena Benini, nata a Ferrara nel 1975, vive a Roma. Giornalista e scrittrice, è al Foglio dal 2001 e scrive di cultura, persone, storie. Dirige Review, la rivista mensile del Foglio. La rubrica di libri Lettere rubate esce ogni sabato, l’inserto Il Figlio esce ogni venerdì ed è anche un podcast. Ha scritto e condotto il programma tivù “Romanzo italiano” per Rai3. Il suo ultimo libro è “I racconti delle donne”. E’ sposata e ha due figli.