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Il rantolo di Detroit

Stefano Pistolini

Quando il miglior giocatore di pallacanestro italiano, Gigi Datome, è stato messo sotto contratto da una franchigia Nba, i Detroit Pistons, tutti abbiamo evocato il sogno americano. Beh, il sogno che Datome troverà ad aspettarlo al Metropolitan Airport, somiglia a un incubo. La città ha dichiarato bancarotta, schiacciata non tanto dal disavanzo di bilancio (120 milioni di dollari) ma dal mostruoso, esponenziale debito consolidato di 20 miliardi nei confronti di 100 mila creditori. Kevyn Orr, il commissario che ha supervisionato l’agonia della città, giovedì ha ufficializzato il più importante fallimento di una città nella storia economica degli Stati Uniti.

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Quando il miglior giocatore di pallacanestro italiano, Gigi Datome, è stato messo sotto contratto da una franchigia Nba, i Detroit Pistons, tutti abbiamo evocato il sogno americano. Beh, il sogno che Datome troverà ad aspettarlo al Metropolitan Airport, somiglia a un incubo. La città ha dichiarato bancarotta, schiacciata non tanto dal disavanzo di bilancio (120 milioni di dollari) ma dal mostruoso, esponenziale debito consolidato di 20 miliardi nei confronti di 100 mila creditori. Kevyn Orr, il commissario che ha supervisionato l’agonia della città, giovedì ha ufficializzato il più importante fallimento di una città nella storia economica degli Stati Uniti. E’ un crollo fragoroso, ultimo rantolo di un Novecento americano d’improvviso anacronistico. Di quel secolo, questa metropoli che impressionava il visitatore al primo approccio, è stata protagonista: solo New York e Chicago rivaleggiavano con un downtown come il suo, enorme, ruggente e pulsante di business, vitalità e crimine. Oggi che il numero degli abitanti si è contratto paurosamente, con una fuga del 63 per cento dei residenti (dai quasi 2 milioni del ’54 ai 700 mila attuali), quello stesso cuore della città s’è fermato: grattacieli abbandonati (come sanno gli scenografi di Hollywood, non c’è visione più raggelante di un’imperiale architettura metropolitana in fin di vita), scappati i benestanti e la classe media, a vivere qui sono rimasti solo gli ultimi, quelli senza speranza, una popolazione all’83 per cento afroamericana, che ha azzerato il flusso contributivo nelle casse comunali.

La crisi dell’auto e dell’immobiliare sono all’origine del disastro: dal 2000 a oggi si sono triplicati i disoccupati (il doppio della media nazionale), il tasso di omicidi è da record e i servizi sono allo stremo. A Detroit si risponde a una chiamata alla polizia in 58 minuti (media nazionale: 11), il 40 per cento del lampioni è fuori uso, 78 mila abitazioni sono in rovina, solo un’ambulanza su tre ancora cammina. La corruzione e le clientele hanno fatto il resto: Detroit ha il doppio di pubblici impiegati delle altre città, nessuno ha smantellato un apparato inefficiente e ora paghe e pensioni ballano sulla lama del rasoio. La città che fu simbolo dell’industrializzazione, dell’impatto della modernità sull’organizzazione sociale nella versione sfrenata e dura del Nuovo Mondo, la giungla d’asfalto il cui suono si diede il nome di Motown (rapidamente emigrata a L. A.), paga ora l’incapacità di riconvertirsi e di espiare prima del tracollo. Toccato il fondo, non è escluso un nuovo inizio, ma non sarà presto e non sarà facile. Certo, i prezzi sprofonderanno, gli incentivi andranno alle stelle, serpeggerà perfino una qual mistica della Motor City, patria degli american horses (questa è terra di narratività, da qui vengono Nelson Algren e Elmore Leonard, ma oggi nemmeno i creativi di periferia come Eminem o Jack White si fanno più vedere in giro). Qualche audace imprenditore, un po’ di alternativi e di cacciatori d’occasioni saggeranno il terreno. Ma il modello di una virtuale New Detroit dovrà essere radicalmente diverso. Somiglierà alle disinvolte città emergenti, dove si vive bene e non si spende troppo – chessò, Charlotte o Jacksonville. Si sfrutterà la bellezza severa del posto, i sontuosi riflessi del lago. Della Detroit che insegnò al mondo come correre sull’autostrada del futuro resterà solo qualche bottega turistica a tema.

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