I quarant’anni della “Roe vs. Wade” nell’America liberal di Obama
Washington. Nella settimana in cui Barack Obama ha estratto dal cilindro inaugurale l’agenda liberal per il secondo mandato, l’America festeggia o piange il quarantesimo anniversario della Roe vs. Wade, la sentenza della Corte suprema che il 22 gennaio del 1973 ha reso legale l’aborto e ha ufficialmente diviso la nazione in pro life e pro choice. Da allora l’America non ha smesso di discutere, accapigliarsi, di emettere sentenze contraddittorie e indire referendum popolari sull’aborto.
Washington. Nella settimana in cui Barack Obama ha estratto dal cilindro inaugurale l’agenda liberal per il secondo mandato, l’America festeggia o piange il quarantesimo anniversario della Roe vs. Wade, la sentenza della Corte suprema che il 22 gennaio del 1973 ha reso legale l’aborto e ha ufficialmente diviso la nazione in pro life e pro choice. Da allora l’America non ha smesso di discutere, accapigliarsi, di emettere sentenze contraddittorie e indire referendum popolari sull’aborto, di regolamentare l’interruzione di gravidanza a livello locale e di agitare le passioni su quella linea obliqua che divide l’America. A quarant’anni non è facile fare un bilancio sulla legge. Soprattutto se a Washington il lunedì il presidente fa un peana dei valori progressisti e il venerdì il mondo pro life invade nuovamente la città per denunciare quei 55 milioni di bambini uccisi nel grembo per il decreto di una corte. La March For Life è vecchia quanto la sentenza sull’aborto, dunque anche gli avversari del progressismo diventato cultura dominante quest’anno hanno una ricorrenza da celebrare. La portavoce della marcia per la vita, Jeanne Monahan, assicura che batteranno ogni record di presenze, per questa mobilitazione galvanizzata un po’ a sorpresa anche dal modo esplicito con cui Obama ha abbracciato la cultura progressista nel discorso di insediamento. Come ha scritto Noam Scheiber sulla rivista New Republic, “Obama è sempre stato un liberal, ma ora difende il liberalismo”. Quello di lunedì è stato soltanto un coming out ideologico.
Una ricerca dell’istituto Pew dice che solo il 44 per cento degli americani che hanno meno di trent’anni sa che la sentenza Roe vs. Wade ha a che fare con l’aborto. Lo scollamento generazionale è diventato un problema per il mondo pro choice, che fatica a rigenerare la leadership: un conto è essere guidati da chi negli anni Settanta marciava con un cartello in mano, un altro è trovare leader che negli anni epici delle battaglie facevano le elementari. Ilyse Hogue, nuova presidentessa di Naral, è la prima “nativa” fra i capi delle grandi associazioni abortiste e il suo compito è anche creare una coscienza pro choice fra i giovani. A quarant’anni si comincia a fare bilanci. Il trend dell’aborto in America è in costante diminuzione e nel 2009 l’America ha stabilito il record negativo (cioè positivo) di interruzioni di gravidanza: per i pro life è il segno che il modo migliore per fare la festa alla Roe vs. Wade non è trascinarla di nuovo in tribunale, ma “renderla irrilevante”, come dice Charmaine Yoest, presidente di Americans United for Life.