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Ma quale intervento esterno, in Siria bastava armare i ribelli

Carlo Panella

Sessantamila vittime del multilateralismo. E’ questo, in estrema sintesi, il bilancio della politica mediorientale di Barack Obama applicata alla rivoluzione siriana. Il primo e vero responsabile di questo elevato numero di morti è naturalmente Bashar el Assad, che domenica ha dimostrato col suo discorso alla nazione di non avere intenzione di accettare le mediazioni presentate dall’Onu. Ma l’assoluta mancanza di iniziativa della comunità internazionale nella crisi siriana è da ascrivere alla errata dottrina che ispira l’Amministrazione americana.

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Sessantamila vittime del multilateralismo. E’ questo, in estrema sintesi, il bilancio della politica mediorientale di Barack Obama applicata alla rivoluzione siriana. Il primo e vero responsabile di questo elevato numero di morti è naturalmente Bashar el Assad, che domenica ha dimostrato col suo discorso alla nazione di non avere intenzione di accettare le mediazioni presentate dall’Onu. Ma l’assoluta mancanza di iniziativa della comunità internazionale nella crisi siriana è da ascrivere alla errata dottrina che ispira l’Amministrazione americana. Il punto centrale è che in Siria non c’è mai stato bisogno di un intervento militare dall’esterno: è questa l’originalità della crisi siriana rispetto a quella libica e a tutte le altre crisi umanitarie degli ultimi vent’anni (Somalia, Bosnia, Kosovo). Mascherarsi dietro alle controindicazioni palesi di un intervento militare in Siria da parte dell’occidente è un trucco per celare la mancanza di una visione e di una strategia.

In Siria la forza del movimento di opposizione al regime era tale da rendere superfluo un intervento militare esterno. Un rapporto di forze radicalmente diverso da quello libico dove, senza l’intervento della Nato, Bengasi sarebbe caduta già nel marzo 2011 a causa della debolezza dei ribelli. Con la creazione dell’Esercito libero siriano da parte del colonnello Riad al Asaad, sin dall’autunno 2012 si è registrata una spaccatura orizzontale delle Forze armate di Damasco che ha messo in campo contro il regime migliaia di militari (tra cui molti ufficiali) ben addestrati e motivati. E con loro, migliaia di combattenti civili dotati di una eccellente formazione militare acquisita durante la ferma nell’esercito. Ma non avevano e non hanno armi sufficienti, non le hanno mai avute: i ribelli devono risparmiare addirittura i proiettili. Mancavano e mancano i semoventi corazzati, anche leggeri, che i ribelli sarebbero in grado di usare grazie al loro addestramento militare. Gli unici di cui dispongono sono i pochi che hanno sottratto alle forze regolari. Un esiguo flusso di armamenti leggeri è passato dal confine turco, libanese e siriano. La Turchia ha sempre fornito una piccola copertura nelle comunicazioni militari. Ma nulla di più: serviva ben altro.

Lo stallo nella lunga battaglia di Aleppo potrebbe essere risolto a favore dei ribelli da poche decine di mezzi di artiglieria leggera mobile (non pericolosi, un domani, per la sicurezza di Israele), ma non vengono forniti. Per questo hanno avuto enorme spazio gli jihadisti e la galassia di al Qaida che al posto dei blindati usano la formidabile arma dei kamikaze, acquistando così prestigio e peso politico. Se Obama  non fosse prigioniero dello schema multilaterale, avrebbe potuto limitarsi a fornire (tramite la Nato) all’Esercito libero siriano e ad alcune formazioni ribelli controllate da Turchia, Giordania e dai libanesi di Saad Hariri quel centinaio o poco più di autoblindo, carri armati leggeri e lanciarazzi semoventi decisivi per ribaltare il corso del conflitto. Avrebbe insomma potuto copiare lo schema unilaterale scelto dal democratico Bill Clinton in Kosovo, quando eluse il veto russo in Consiglio di Sicurezza, mettendo in campo la Nato. Ma questa opzione non è mai stata presa in considerazione (tranne che da Recep Tayyip Erdogan nell’autunno del 2012).

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Un’azione “unilaterale” del genere, alla luce del sole, senza l’impiego di un solo militare occidentale sarebbe stata risolutiva e avrebbe emarginato qaidisti e jihaidisti, oltre a non porre nessun problema agli Stati Uniti di fronte alla platea araba (la stessa Lega araba l’avrebbe appoggiata, sia pure a maggioranza). Il problema è che avrebbe sconfessato i punti fondanti della dottrina Obama. Il multilateralismo si è così dimostrato fallimentare: il Palazzo di vetro dell’Onu dominato da Russia e Cina, con America e Ue impotenti, che ha superato persino i suoi record di inefficacia (in Somalia, Bosnia, in Ruanda, almeno, aveva preso decisioni folli, ma basate su scelte concrete) con una decina di “soluzioni politiche” dei suoi emissari campate sul nulla. E i suoi dividendi sono andati a favore di Assad e dei qaidisti.

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