La fatica di essere Schicchi a Seul, dove il porno fa più paura dell'alcol

Giulia Pompili

Moon, cattolico praticante, passa le notti tra un sito di donne nude e l'altro, mentre moglie e figli dormono nell'altra stanza. E non lo fa mica per diletto, o per frustrazione sessuale. Lo fa per “vocazione”. Moon Tae-Hwa è un membro dei Nuri Cops, letteralmente “gli agenti di pulizia”, una squadraccia di ottocento volontari ingaggiata dal governo di Seul per “ripulire”, per l'appunto, il Web dalle zozzerie del porno. Notti insonni a cercare materiale ritenuto deprecabile in rete, ma giorno dopo giorno, ora dopo ora, i Nuri Cops hanno realizzato che la Buoncostume sul Web ha ben poco potere.

    Moon, cattolico praticante, passa le notti tra un sito di donne nude e l’altro, mentre moglie e figli dormono nell’altra stanza. E non lo fa mica per diletto, o per frustrazione sessuale. Lo fa per “vocazione”. Moon Tae-Hwa è un membro dei Nuri Cops, letteralmente “gli agenti di pulizia”, una squadraccia di ottocento volontari ingaggiata dal governo di Seul per “ripulire”, per l’appunto, il Web dalle zozzerie del porno. Notti insonni a cercare materiale ritenuto deprecabile in rete, ma giorno dopo giorno, ora dopo ora, i Nuri Cops hanno realizzato che la Buoncostume sul Web ha ben poco potere. Non fai in tempo a segnalare un indirizzo web che promuove incontri sadomaso che subito ne esce fuori un altro che offre materiale osceno amatoriale. E ora si dicono frustrati: “E’ come spalare la neve durante una tormenta”, dicono i censori – un gruppo eterogeneo, costituito da studenti universitari, informatici, professionisti e casalinghe.

    Non è un paese per i Larry Flynt la Corea del sud – lo storico produttore del porno americano che pagò il suo debito con la moralità in un attentato nel 1978 e che oggi produce a Los Angeles un giro d’affari di oltre un miliardo di dollari. E non è nemmeno un paese per i Fabian Thylmann – che con YouPorn è diventato miliardario e infatti non lo hanno arrestato per oscenità, ma per evasione fiscale. E men che meno il telegiornale della sera, in Corea del sud, avrebbe dato la notizia della morte di un celebre imprenditore e manager della pornografia. Perché nonostante la laicità dello stato, il progresso nella scienza e nell’industria tecnologica, nonostante la Corea sia tra i paesi asiatici più evoluti, il codice penale sudcoreano contiene delle contraddizioni notevoli, e una cultura censoria influenzata dal conservatorismo cattolico e da alcune deformazioni del confucianesimo.

    Il presidente Lee Myung-bak a settembre ha dichiarato in un’intervista che guardare la pornografia on line “incita a compiere crimini sessuali”, che in effetti in Corea del sud sono in aumento. Secondo l’Ap, che riporta i dati dell’Istituto coreano di criminologia, nel 2010 sono state arrestate con l’accusa di stupro più di 18.000 persone: dieci anni prima erano meno di 7.000. I crimini sessuali contro i minori sono passati dai 180 casi del 2000 ai circa mille del 2010 – nonostante la castrazione chimica obbligatoria per i casi di pedofilia. E’ vero quindi che i casi di violenza di natura sessuale sono in aumento, ma certamente il problema non è la pornografia on line, come dicono il presidente Lee e la sua squadraccia di censori Nuri Cops – la cui frustrazione dimostra, piuttosto, l’impossibilità di controllare le tette sul Web. Il vero problema con cui il governo di Seul prima o poi dovrà fare i conti è l’alcolismo.

    In Corea del sud, infatti, l’essere sotto effetto dell’alcol è giudicata un’attenuante nei processi per violenza sessuale. Il soju, il distillato tipico sudcoreano, è reperibile ovunque a bassissimo costo e viene bevuto generalmente anche durante i pasti in un rito sociale con un’etichetta precisissima (servito in bicchierini di vetro, non ci si versa mai il soju da soli, ma si versa ai commensali usando rigorosamente entrambe le mani. Se qualcuno chiama il “one shot”, non si beve mai più velocemente dell’anziano al tavolo). Un sudcoreano beve in media una novantina di bottiglie di soju all’anno, con i suoi 40 gradi alcolemici.

    Una lezione agli habitué della trincatina serale l’ha data la Samsung. La più grande azienda di Seul, che dà lavoro (e il più delle volte anche casa e assicurazione sanitaria) a oltre 350 mila dipendenti nella cittadella all’interno della capitale sudcoreana, la scorsa settimana si è stufata dei dipendenti col vizietto dell’alcolismo. E andando contro le regole di team building, molto diffuse nelle aziende coreane, il direttore del personale ha mandato via e-mail il vademecum per sopravvivere, da sobri, alle cene aziendali. L’hoesik è un rito a cadenza mensile o settimanale durante il quale capi e sottoposti, dopo il lavoro, si ritrovano in un locale, compiendo una specie di esame extra curriculare sulla capacità di reggere l’alcol e – in alcol veritas – per dimostrare di essere simpatici ai capi anche da ubriachi. Su Internet si trovano già delle brevi guide per uomini d’affari occidentali che si ritrovano in un hoesik e devono riuscire a cavarsela. Ma la Samsung ha fatto di più, ha stilato un codice di condotta. Per esempio, è vietato prolungare l’hoesik dopo le nove di sera. E non si cambia locale durante la serata. Vietati il beolju (costringere a bere qualcuno) e il sabalju (mischiare gli alcolici, per esempio soju e birra, un mix letale per l’ubriacatura perfetta). La Corea del sud, secondo l’Organizzazione mondiale della sanità, è il paese con il più alto consumo di alcolici al mondo (quello del porno è nella media ). Le nudità su Internet procurano meno danni (e forse meno stupri) dell’ebbrezza molesta.

    • Giulia Pompili
    • È nata il 4 luglio. Giornalista del Foglio da più di un decennio, scrive soprattutto di Asia orientale, di Giappone e Coree, di Cina e dei suoi rapporti con il resto del mondo, ma anche di sicurezza, Difesa e politica internazionale. È autrice della newsletter settimanale Katane, la prima in italiano sull’area dell’Indo-Pacifico, e ha scritto tre libri: "Sotto lo stesso cielo. Giappone, Taiwan e Corea, i rivali di Pechino che stanno facendo grande l'Asia", “Al cuore dell’Italia. Come Russia e Cina stanno cercando di conquistare il paese” con Valerio Valentini (entrambi per Mondadori), e “Belli da morire. Il lato oscuro del K-pop” (Rizzoli Lizard). È terzo dan di kendo.