Storia di Crosetto e della sua resistenza a Berlusconi

Stefano Di Michele

Sarà la figura – alta alta e grossa grossa: “sono 2 m. x 118 kg”, è l’esatta sua caratura che autodenuncia su Twitter – di Crosetto che abbandona, curvo e con la lacrima al ciglio, gli studi mattutini di “Omnibus”, a farsi così simbolo della giornata  più pazzotica e sghangherata (e in affannoso Te Deum finale voltata) vissuta dal Pdl che fu berlusconiano e ora più figlio di nessuno. Con il caffé ancora sul gas, ecco sullo schermo apparire l’onorevole –  non si capisce bene se fatica più a tenere il pianto o a tenere la rabbia – che saluta con garbo tutti gli altri, spiega le sue buone ragioni, “mi sono stufato, mi sono rotto”, a va. Adieu.

    Sarà la figura – alta alta e grossa grossa: “sono 2 m. x 118 kg”, è l’esatta sua caratura che autodenuncia su Twitter – di Crosetto che abbandona, curvo e con la lacrima al ciglio, gli studi mattutini di “Omnibus”, a farsi così simbolo della giornata  più pazzotica e sghangherata (e in affannoso Te Deum finale voltata) vissuta dal Pdl che fu berlusconiano e ora più figlio di nessuno. Con il caffé ancora sul gas, ecco sullo schermo apparire l’onorevole –  non si capisce bene se fatica più a tenere il pianto o a tenere la rabbia – che saluta con garbo tutti gli altri, spiega le sue buone ragioni, “mi sono stufato, mi sono rotto”, a va. Adieu. Commosso va, quasi come nella canzone di Jannacci va, “e io ho visto un uomo / vuotarsi tutto / il suo dolore”: se non tutto, una parte. E se ne va non perché abbia litigato con qualcun altro, come da consuete transumanze televisive, ma perché faticava a trovare pace con se stesso, “lo dico commuovendomi”, con le sue parole, “non ho più niente da dire”, con le sue convinzioni, “è finito il tempo in cui si possono servire due padroni”. Crosetto è uno che di solito non molla, ha l’animo gentile e ottima resistenza mediatica e una buona dedizione alla causa del Cav.: non servile, ma non parziale. Così che una volta, al telefono con un amico giornalista, gli scappò pure di dire “testa di cazzo” all’indirizzo della leaderistica e accuratamente coltiva sommità dello stesso, ma come filiale esortazione fu infine intesa, dato che Crosetto spiegò che come paterna esortazione la usava in casa, “con mio figlio tutti i giorni”. Ecco, Crosetto è uno che sa fronteggiare anche le battute di Crozza, pure i rimbrotti di Santoro e Travaglio e Formigli – e infatti è ospite ambito e consueto, non praticando, in azione e dibattito, né lagnosa permalosità né scontando qualcosa all’antiberlusconiano di turno che davanti gli si para. Sarebbe stato il berlusconiano perfetto, Guido Crosetto, se berlusconiano perfetto, nell’incasinatissima giornata della chiamata alle armi, fosse stato pure il Cav.

    E’ questo che si leggeva sulla faccia affaticata del Crosetto mattiniero, la sgobbata quotidiana in trincea che non riesce, la spossatezza politica che prende il sopravvento. Non perché la battaglia sia ora difficile, non perché la sorte che fu gloriosa è meno che incerta, ma perché è il capo che si è fatto indecifrabile, è il leader che si nasconde nella penombra, è il risentimento se pare schiantare il ragionamento – e certe volte neppure “2 m. X 118 kg.” possono qualcosa, quando è la terra stessa che pare mancare sotto i piedi. Crosetto è anche uomo di spirito, così che arditamente raccontava nelle settimane passate delle sue speranze e delle sue poche soddisfazioni. Pronto a scendere in pista per le primarie pidielline – le più annunciate e le più sfigate del mondo – liberamente rosicava osservando quelle del Pd: “Renzi è molto più bravo, lo ammetto. Fa casino per quattro mesi nel Pd e Veltroni e D’Alema non si candidano. Io lo faccio da due anni nel Pdl e arriva Briatore”. E’ la linea d’orizzonte che a Crosetto, come a tanti altri nel Pdl, pare restringersi giorno dopo giorno – e così per un po’ continui ad argomentare, ad andare, a gentilmente sfanculare se è il caso. Poi, una mattina senti la stanchezza e il vuoto sotto – e pure a un omone liberale di tal fatta qualcosa brucia dentro: di lotta che forse si combatte invano. A far da contrappunto al mesto sortire di Crosetto – in video rimirato (ammirato? irritato?) pure dal Cav. che lo ha invitato a Palazzo Grazioli – l’affollarsi precipitoso di terze o seconde o quarte file che prontamente rispondevano “presente!” all’“Act of Supremacy” del leader sospettoso e furibondo come un Enrico VIII in lotta contro tutti i papisti. Quasi nessuno si è sentito Tommaso Moro, c’è da dire, così da rimetterci volontariamente la testa, nessuno è stato Moro – nemmeno Crosetto è lo è, si capisce. Ma almeno non ha ingoiato come se niente fosse, senza sapere e senza spiegazioni – lì, davanti a tutti, come bestione da zoo che bruca e sta quieto. Non è stata neanche una rivolta del tutto politica – e scontri in passato ne ha avuti, da Tremonti a Scajola: ma quello è il gioco, la regola, la lotta – piuttosto umana: di umana fatica, di quando diventa del tutto impossibile tenere in un minimo di allineamento le parole che si devono dire e i pensieri che si inseguono nella testa. Avrà fumato qualche Malboro in più rispetto alle cento d’ordinanza che aspira ogni giorno, ha certo preso la via di Palazzo Grazioli, ha chiuso i contatti come a “Omnibus” in certi momenti gli occhi – e lì pareva annaspare, lo sguardo stupito come nel ritrovarsi non dentro il solito ormai quotidiano labirinto berlusconiano, ma dentro un groviglio in cui ieri pareva perdersi lo stesso fortissimo Minotauro di Arcore. Pur se non sarà certo  Teseo, Crosetto. “Quando uno è grande e grosso come me cresce senza il bisogno di difendersi”. Ma quando è grande e grosso, pure un pacco è difficile da spostare.