Quel gran libro dietro il libro di Agassi. Cronaca di un trionfo annunciato
C’è un altro libro dietro al libro di Andre Agassi. E c’è una grande storia. Perché Open, la biografia del tennista americano che è diventata un caso editoriale a scoppio un po’ ritardato nasce in una notte tormentata: Agassi giocava uno degli ultimi tornei della carriera. In albergo, sul suo comodino, aveva una copia di “The tender bar” di J. R. Moehringer. In Italia il libro è titolato Il bar delle grandi speranze. È una biografia romanzata, anzi un romanzo biografico. E’ la storia di J.R., che nella vita fa il giornalista.
C’è un altro libro dietro al libro di Andre Agassi. E c’è una grande storia. Perché Open, la biografia del tennista americano che è diventata un caso editoriale a scoppio un po’ ritardato nasce in una notte tormentata: Agassi giocava uno degli ultimi tornei della carriera. In albergo, sul suo comodino, aveva una copia di “The tender bar” di J. R. Moehringer. In Italia il libro è titolato Il bar delle grandi speranze. È una biografia romanzata, anzi un romanzo biografico. E’ la storia di J.R., che nella vita fa il giornalista. E’ stato già premio Pulitzer per un reportage fatto per il suo giornale, il Los Angeles Times. Un viaggio a Gee’s Bend, una cittadina dell’Alabama. Quando “Tender Bar” esce in America viene accolto bene. Piace, vende. Moehringer racconta se stesso mettendoci molta verità e qualche forzatura. C’è lui, figlio di una voce. Perché lui è un bambino maschio che cresce senza padre. Ruota tutto attorno a questo e sarà così anche per ciò che verrà dopo, cioè Agassi e Open e tutto il resto. Un bambino senza padre cerca la figura paterna in ogni uomo che incontra: la trova in un bar pieno di uomini, frequentato da suo zio e dai suoi amici. La trova pure nel baseball, quindi nello sport. Il padre parla alla radio, è un dj. Per un po’ passa le giornate a cercare la stazione radio giusta per sentirlo, immaginando che lui sia accanto a lui. J.R. lo cerca, lo desidera, non lo trova e ripiega. Il bar Publicans è un luogo, ma è anche la metafora con cui Moeringher spiega l’affanno di un uomo che ha bisogno di altri uomini per crescere. La madre? Sì, va bene. Con lei c’è un amore unico. Lei si prende cura di lui, lui cerca di farlo con lei. Teneri, affettuosi, fragili. Il padre che manca è il perno di J. R. e di Andre: Agassi legge e leggendo scopre che la sua infanzia difficile è la stessa di altri. J. R. ha trovato la forza di scriverla: Manhasset (Long Island, New York), il luogo dove è ambietato “Tender Bar”, in fin dei conti è uguale a Las Vegas. Perché qui non c’entrano i posti, ma le emozioni.
Il Bar delle grandi speranze funziona. Il New York Times lo giudica libro dell’anno nel 2005. Caso letterario perché è la storia che vince sulla forma. Non è un vero romanzo, non è un saggio, è una biografia letteraria. Strano genere. Però va. In Italia un editor di Piemme, Carlo Musso, lo legge, lo trova stupendo, lo compra. Non va. Copie poche, critica modesta (più numericamente che qualitativamente). Perché l’Italia non è l’America e per ragioni che forse nessuno può spiegare. Un libro bellissimo non capito. Succede spesso, sì. Il paradosso è questo, adesso. Perché Open è un bestseller italiano che nasce da un flop. Agassi lo legge durante quel torneo e sembra Tom Cruise in “Jerry McGuire”: uno che a un certo punto decide di dire la sua, di raccontare, di buttare fuori tutto quello che ha. Chiama Moehringher e gli chiede di dargli una mano. Parla, scrive, butta già, J.R. raccoglie, mette insieme. Ghostwriter? Sarà. Chissenefrega, comunque. Open piace perché racconta la storia di un uomo celebre che fa i conti con i fantasmi della sua infanzia, della sua adolescenza, della celebrità conquistata sudando come un pazzo per farcela.