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Draghi di liquidità

Ecco come i banchieri centrali continuano a domare Lady Spread

Grazie agli interventi della Banca centrale europea lo spread si è calmato ancora ed è sceso fino a 293 punti, mai così in basso dallo scorso settembre, per poi chiudere a 301. Anche per questo, oltre che per il relativo successo dello “swap” sul debito greco con i creditori privati di Atene, le Borse hanno guadagnato per il secondo giorno consecutivo. Ma soprattutto i rialzi sono l’effetto delle operazioni di rifinanziamento della Bce, cui hanno aderito 800 banche, che mirano anche a stimolare il credito a famiglie e imprese.

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Grazie agli interventi della Banca centrale europea lo spread si è calmato ancora ed è sceso fino a 293 punti, mai così in basso dallo scorso settembre, per poi chiudere a 301. Anche per questo, oltre che per il relativo successo dello “swap” sul debito greco con i creditori privati di Atene, le Borse hanno guadagnato per il secondo giorno consecutivo. Ma soprattutto i rialzi sono l’effetto delle operazioni di rifinanziamento della Bce, cui hanno aderito 800 banche, che mirano anche a stimolare il credito a famiglie e imprese. L’ultima, da 529 miliardi, è stata lanciata la settimana scorsa, nonostante la contrarietà del presidente della Bundesbank, Jens Weidmann, e segue a ruota quella di dicembre da 489 miliardi. “L’impatto delle nuove misure non convenzionali è stato positivo” ma le stesse non saranno “eterne”, ha detto ieri il presidente della Bce, Mario Draghi, nella conferenza stampa successiva al Consiglio direttivo che ha lasciato i tassi di interesse invariati al minimo storico dell’1 per cento e rivisto al ribasso le stime di crescita dell’Eurozona. Draghi, poi, ha lanciato un ultimatum ai governi, perché perseguano il consolidamento dei bilanci, e alle banche, perché garantiscano credito: “Non vogliamo sostituirci a loro se mancano capitali o non si fanno le riforme. Non è il nostro lavoro”.

A preoccupare gli analisti è però il record raggiunto dagli asset nel bilancio della Bce, l’istituto più attivo nell’ultimo anno:  3.000 miliardi di euro di acquisti, più dei 2.900 miliardi della Federal Reserve. E avere accettato titoli di bassa qualità come collaterale, come quelli greci, a garanzia dei prestiti non lascia tutti tranquilli.
Intanto la Fed, secondo il Wall Street Journal, sta pensando a un nuovo metodo d’acquisto di titoli ideato per contenere i timori di un aumento dell’inflazione. A differenza delle precedenti operazioni che prevedono l’immissione di liquidità, anche attraverso l’effettiva creazione di moneta, il nuovo approccio prevede sì l’acquisto di titoli di lungo termine, Treasuries e a garanzia sui mutui, ma mette in conto la loro vendita successiva entro un periodo definito. Il risultato è che l’aumento della liquidità è transitorio e non accentua l’inflazione.

La Fed ha anche iniziato a dare suggerimenti indiretti all’Europa. Secondo uno studio della Fed di New York, la strategia di ridurre la spesa statale e aumentare le tasse, caposaldo dell’austerity, non porta a una riduzione del deficit bensì lo aumenta. La discriminante, che fa vacillare la teoria europea, è che le Banche centrali ormai hanno tassi molto bassi: “Una volta che i tassi di interesse arrivano a zero, o vicino – scrivono gli economisti americani – tagliare la spesa pubblica o aumentare le tasse incrementa anziché ridurre il deficit di bilancio”. I tagli portano a “una riduzione della crescita aggregata, al restringimento della base di tassazione e alla conseguente diminuzione delle entrate fiscali”, perciò “anche se lo stato al momento spende meno, il denaro che vuole reperire con le tasse diminuirà comunque”. Per recuperare terreno e stimolare la domanda favorendo i consumi, bisogna capire quali interventi governativi portano a questo obiettivo. “Abbiamo trovato – concludono gli economisti della Fed di New York – che ridurre il peso dello stato nel lungo periodo o diminuire la futura tassazione sul lavoro può fare ripartire la domanda nel breve termine”.

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