Un rompighiaccio in Confindustria
Sergio Marchionne è un alieno per questa Confindustria, certo, ma allo stesso tempo si inserisce in una grande tradizione di rupture lunga come la storia Fiat. Ne è sicuro Giancarlo Galli, giornalista economico e saggista, “fiatologo” di lungo corso, autore di “Gli Agnelli. Il tramonto di una dinastia” (Mondadori, 2003). Galli, in un colloquio con il Foglio, prima elogia il “realismo” che ha spinto l’ad di Fiat a “internazionalizzarsi, a differenza dei sindacati e – ancora più grave – a differenza dell’attuale Confindustria”. Poi spiega perché il manager abbia in realtà stretti legami con i suoi predecessori.
Poi spiega perché il manager abbia in realtà stretti legami con i suoi predecessori. “Marchionne si muove come un rompighiaccio, certo”, dice Galli, “ma nel solco di una lunga tradizione. Perché la Fiat è sempre stata un’azienda proiettata in avanti. Già il fondatore, il Senatore Giovanni Agnelli, doveva lottare contro i suoi soci della Torino bene per dimostrare che il futuro era nella motorizzazione di massa. Così il Senatore, quando la Fiat era ancora poca cosa, andò a trovare Henry Ford, nel 1912”. La stessa visione di rottura si vedrà con i grandi manager del Lingotto, nelle loro relazioni col mondo politico e sindacale. “Vittorio Valletta, che era un socialdemocratico vicino a Giuseppe Saragat, aveva un’idea precisa di progresso e modernizzazione, e negli anni Venti fece stroncare l’occupazione della fabbrica voluta nientemeno che da Antonio Gramsci”. “Anche lì”, continua Galli, “c’era un quadro politico incerto e tentennante, Giolitti prima voleva intervenire, poi fece marcia indietro.
La Fiat fece da sola e diede l’esempio. Nel Dopoguerra, sempre Valletta sconfigge Comitati di gestione e Cgil portando al trionfo Cisl e Uil”. Nel frattempo “investe anche a Kragujevac, allora Yugoslavia, oggi Serbia, l’impianto dove Marchionne realizzerà alcuni suoi modelli”. E sempre nella Guerra fredda, Valletta inventa Togliattigrad, in Unione sovietica. Sono i semi dell’internazionalizzazione. Poi Cesare Romiti, con la famosa marcia dei Quarantamila, il 10 ottobre del 1980: “Anche in quel caso i politici erano terrorizzati. Berlinguer ai cancelli, la retorica dell’unità nazionale. Viceversa, con la marcia del 1980 Romiti e la Fiat sbloccarono la situazione, non solo per il Lingotto ma anche per il paese”. Insomma “Marchionne è un rompighiaccio”, conferma Galli, ma “anche il miglior interprete di una lunga tradizione, quella che nei momenti-chiave sente il dovere di avere il coraggio di tagliare il nodo gordiano. Marchionne è un decisionista, viene dalla scuola del management americano”. Con Obama, in America, “per salvare la Chrysler hanno deciso in fretta – prosegue Galli – mentre in Italia non si decide nulla, si fanno solo tavoli, sempre tavoli”.