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Droni dappertutto

Obama colpisce in Yemen l’aspirante erede di Bin Laden

Martedì è arrivato l’ultimo numero in formato pdf della rivista in lingua inglese Inspire, edita su Internet dal gruppo terrorista al Qaida nella penisola arabica. Copertina dorata con foto della stazione centrale di New York e fascia che annuncia un editoriale dello sceicco Anwar al Awlaki sulla necessità “di colpire le popolazioni dei paesi che sono in guerra con l’islam”. Ieri la parte più importante della redazione di Inspire, Awlaki stesso e il suo caporedattore Samir Khan, è stata incenerita da un missile mentre era in macchina vicino ad al Jawf, nello Yemen.

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Il Cairo, dal nostro inviato. Martedì è arrivato l’ultimo numero in formato pdf della rivista in lingua inglese Inspire, edita su Internet dal gruppo terrorista al Qaida nella penisola arabica. Copertina dorata con foto della stazione centrale di New York e fascia che annuncia un editoriale dello sceicco Anwar al Awlaki sulla necessità “di colpire le popolazioni dei paesi che sono in guerra con l’islam”. Ieri la parte più importante della redazione di Inspire, Awlaki stesso e il suo caporedattore Samir Khan, è stata incenerita da un missile mentre era in macchina vicino ad al Jawf, nello Yemen.

Dopo la morte in Pakistan di Osama bin Laden, il predicatore con passaporto americano era il primo sulla lista dei terroristi più ricercati dall’Amministrazione Obama. A mezzogiorno il ministro della Difesa yemenita ne ha annunciato l’uccisione con un bombardamento aereo. Era già stato dichiarato morto dal governo in altre tre precedenti occasioni, ma questa volta due funzionari senza nome dell’Amministrazione americana ne hanno confermato l’identità, appena tre ore dopo l’annuncio del ministro di Sana’a. La sicurezza e la disinvoltura ostentate da Washington nell’identificare un corpo davvero importante ma che giace dentro una Toyota Hilux del 2005 distrutta da un missile su una strada in una zona disabitata centoquaranta chilometri a est della capitale dello Yemen, assieme al fatto che gli aerei yemeniti non hanno le capacità tecniche per effettuare questo tipo di operazioni di precisione, fanno pensare alla sola altra alternativa possibile, ovvero a un colpo degli aerei senza pilota americani e fanno pensare anche che al Awlaki fosse già inquadrato da tempo dai suoi inseguitori, come Osama nel suo rifugio pachistano di Abbottabad. Si tratta di un secondo grande successo per il presidente Barack Obama, il cui governo è diventato una macchina inflessibile e infallibile contro al Qaida, e per il comando delle forze speciali del Pentagono che assieme alla Cia si occupa della caccia ai terroristi. La differenza è che questa volta c’è stata la collaborazione dei servizi yemeniti, che hanno trovato il ricercato e ne hanno indicato la posizione in un villaggio nella parte est del paese, secondo le notizie che arrivano da Sana’a. Fino a ieri si credeva si nascondesse a sud, lontano dalla capitale.
L’uccisione di al Awlaki cade al momento giusto per il regime dello Yemen. Il presidente Saleh, sopravvissuto a giugno a un attentato con una bomba nel suo palazzo, è appena tornato da una difficile convalescenza in Arabia Saudita. Durante la sua assenza, i membri del clan famigliare – che formano l’ossatura del suo potere – hanno soffocato nel sangue le proteste degli yemeniti e hanno spinto il paese vicino alla guerra civile, tanto da convincere l’Amministrazione Obama a chiedere a Saleh di dimettersi e di cedere alle richieste di cambiamento dopo più di trent’anni ininterrotti di presidenza.

La questione terrorismo condiziona tutta la politica di Washington in Yemen. A maggio, quando il missile di un drone americano mancò di poco al Awlaki – era l’inizio del mese, l’America avrebbe potuto sbarazzarsi di due ricercati pericolosi nello spazio di una settimana – un articolo dell’inviata nel Golfo del Wall Street Journal, Margaret Coker, fondato su notizie da dentro il Palazzo di Saleh, spiegava che il presidente yemenita era deciso a far vedere agli alleati quanto si considera prezioso nella lotta al terrorismo – non ha bisogno di molti sforzi, le critiche dall’esterno contro di lui sono prudenti e blande, nulla a che vedere con Gheddafi in Libia o Bashar el Assad in Siria.

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La testa di al Awlaki in cambio della mia permanenza al potere: questo il patto di Saleh, difficile da ignorare per l’America e anche per l’Arabia Saudita, i cui servizi segreti avevano intrapreso una caccia senza sosta al predicatore perché al Qaida in Yemen ha tentato già quattro volte di uccidere il direttore, il principe al Nayef, e ora forse non sono estranei alla sua morte.
Oggi le voci sul patto “lotta al terrorismo in cambio di credenziali politiche internazionali” si ripropongono, soprattutto perché Saleh è tornato da una sola settimana e ieri ha ricordato il proprio ruolo centrale in una doppia intervista a due giganti dei media americani come il Washington Post e il Time. L’intervista è uscita ed è stata subito seguita dalla notizia dell’uccisione di Awlaki.
Negli anni passati il regime di Sana’a è stato accusato, come il Pakistan, di avere contatti opportunistici con al Qaida e di conoscerne bene i movimenti, ma di non fare nulla in attesa di sfruttare meglio il capitale politico della situazione.

L’uccisione di al Awlaki è la notizia del giorno
, e nei circoli dell’antiterrorismo è la notizia dell’anno dopo la morte di Osama, ma in Yemen se ne sono a malapena accorti. Al Awlaki per la maggioranza degli yemeniti è soltanto un cognome comune che si legge sulle insegne dei negozi, o il nome di una valle cara a tutti per la sua bellezza, e l’argomento centrale resta la rivoluzione che sta fallendo.

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La Cia ha un programma di spionaggio e di uccisione dei leader terroristi nella penisola arabica, che di recente si è allargato con la costruzione di una nuova base in Etiopia e di un’altra in un paese arabo del Golfo non identificato, da cui fare decollare i droni. Le basi segrete sono disposte in modo che gli aerei senza pilota possano coprire, e in certi casi anche sovrapporsi su alcune aree precise, soprattutto sul territorio dello Yemen e della Somalia, appena al di là dello Stretto di Bab el Mandab tra mar Rosso e Golfo di Aden. Al centro di queste aree e quindi degli sforzi c’era al Awlaki. Il suo inquadramento nei ranghi dell’organizzazione di al Qaida è atipico, anche se ieri le televisioni americane semplificavano attribuendogli il ruolo di capo di al Qaida nello Yemen. Al Awlaki era piuttosto un ispiratore dal carisma diabolico, con un ottimo inglese, articolato, persuasivo, capace di manipolare e di convincere a distanza, tra gli altri, anche il maggiore dell’esercito americano Nidal Malik Hasan, che nel 2009 uccise 13 soldati a Fort Hood in Texas. Lo studente inglese di 21 anni che accoltellò un parlamentare a Londra disse di non conoscerlo di persona, ma di avere agito dopo avere visto cento ore dei video di al Awlaki su Internet. Quando era a San Diego, nel 2001, il predicatore incontrò due attentatori dell’11 settembre.
In Yemen, al Awlaki si era inserito, forse ispirandolo dal principio, nel progetto ambizioso del gruppo, che punta a diventare il nuovo fronte del terrorismo internazionale, la nuova fonte di preoccupazioni per la Casa Bianca, più del nucleo originale di al Qaida sottoposto in Pakistan alla caccia dei droni. Il fallito attentato del Natale 2009 su un aereo passeggeri a Detroit e il grande piano per far esplodere aerei in volo l’anno successivo portano anche la responsabilità di al Awlaki. Obama e il direttore della Cia, David Petraeus, hanno trasferito la campagna in Yemen contro un americano senza farsi problemi legali.

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