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Rock revolution

Nicoletta Tiliacos

A chi pensa che “sono solo canzonette” e che il rock e i suoi derivati hanno inebetito intere generazioni, inquinandone per sempre il gusto musicale, si può consigliare la lettura di “Rock ’n’ Roll”, il testo della pièce teatrale scritta nel 2006 dal drammaturgo e sceneggiatore inglese (di origine cecoslovacca) Tom Stoppard, ora tradotto da Evelina Santangelo per Einaudi. E’ il racconto in due atti – tra Cambridge e Praga e tra il 1968 e il 1990 – di come il destino della Cecoslovacchia, la storia della dissidenza anticomunista, la stessa nascita del manifesto passato alla storia come “Charta 77” (pietra miliare nel movimento di opposizione al regime filosovietico e a ogni totalitarismo) siano stati segnati dalla vicenda di un gruppo praghese di rock psichedelico, che si era chiamato (ispirandosi a “Plastic People” di Frank Zappa), Plastic People of the Universe.

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A chi pensa che “sono solo canzonette” e che il rock e i suoi derivati hanno inebetito intere generazioni, inquinandone per sempre il gusto musicale, si può consigliare la lettura di “Rock ’n’ Roll”, il testo della pièce teatrale scritta nel 2006 dal drammaturgo e sceneggiatore inglese (di origine cecoslovacca) Tom Stoppard, ora tradotto da Evelina Santangelo per Einaudi. E’ il racconto in due atti – tra Cambridge e Praga e tra il 1968 e il 1990 – di come il destino della Cecoslovacchia, la storia della dissidenza anticomunista, la stessa nascita del manifesto passato alla storia come “Charta 77” (pietra miliare nel movimento di opposizione al regime filosovietico e a ogni totalitarismo) siano stati segnati dalla vicenda di un gruppo praghese di rock psichedelico, che si era chiamato (ispirandosi a “Plastic People” di Frank Zappa), Plastic People of the Universe.

La band si era formata a Praga nel settembre del 1968, a poche settimane dall’invasione degli eserciti del Patto di Varsavia che aveva stroncato la breve primavera di libertà. Il leder del gruppo era Milan “Mejla” Hlavsa, bassista diciannovenne innamorato dei Beach Boys, dei Beatles, dei Velvet Underground, e con lui c’erano il chitarrista Josef Janícek e il suonatore di viola Jirí Kabes. Nonostante quella significativa data sull’atto di nascita, i Plastic People of the Universe, come cento altri gruppi della giovane scena rock praghese di quegli anni, non si sentivano né attivisti politici anti regime né rivoluzionari in pectore. Volevano solo suonare la loro musica, dicevano, e continuarono a considerarsi “dissidenti loro malgrado” (parole di Hlavsa ) non solo dopo l’arresto e il processo subiti nel 1976 da alcuni componenti del gruppo, ma anche quando dalla loro vicenda il drammaturgo Václav Havel e altri oppositori del governo di Gustáv Husák presero spunto per la stesura di Charta 77. “Il rock ’n’ roll per noi non era semplicemente musica, era in un certo senso la vita stessa”, avrebbe detto più volte, negli anni, Milan Hlavsa. Una vita comunque criminale agli occhi di un regime sospettoso verso la pericolosa passione per il rock che andava dilagando tra le giovani generazioni del paese. I ragazzi impazzivano, come accadeva ai loro coetanei in occidente, per la musica ribelle che scandiva il ritmo della libertà e faceva muovere le gambe.

Nel caso in questione, si dimostrò come quella musica riuscisse a far muovere anche la storia. Nel 1965 c’era già stata una visita a Praga del profeta della Beat generation, Allen Ginsberg, invitato dagli studenti dell’Università Carolina. Le sue letture nell’ateneo e nei teatri cittadini erano state accolte con entusiasmo da folle di giovani. Ma quando il poeta criticò in pubblico il presidente ceco Antonín Novotny, si ritrovò la polizia nella stanza d’albergo, libri e quaderni sequestrati e l’ordine di lasciare il paese in quanto indesiderabile reo di “ubriachezza molesta”. Il contagio però non si fermò. Nel giro di poco tempo, ha scritto un ammiratore e biografo dei Plastic People of the Universe, Joseph Yanosik, la città divenne un grande laboratorio di cultura underground (“Praga sembrava San Francisco”), mentre le strade e i locali si popolavano di ragazzi dall’aria hippy, indistinguibili dai loro fratelli di oltrecortina. Nemmeno la stretta arrivata dopo la destituzione di Alexander Dubcek, nell’agosto del ’68, riuscì a normalizzare del tutto la situazione. La rese però molto più complicata per chi, come i Plastic People of the Universe, cantava in inglese e rifiutava compromessi. Cambiare nome, cambiare suoni, cambiare modo di esprimersi, tagliarsi i capelli, rinunciare agli happening che assomigliavano a feste pagane. Fu soprattutto il direttore artistico del gruppo, lo storico dell’arte e teorico della “seconda cultura” Ivan Jirous (in quegli anni finì per quattro volte in galera), a decidere che non se ne parlava neanche.

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Nel 1970 al gruppo fu ritirata la licenza per suonare. Significava dover restituire gli strumenti, di proprietà dello stato, e non poter ricevere compensi per i concerti. Retrocessi a band amatoriale, i Plastic People si costruirono strumenti e amplificatori di fortuna con pezzi di vecchi transistor. Fu in questo periodo che li raggiunse come cantante Paul Wilson, studente canadese laureato a Oxford che nel 1967 era arrivato a Praga per un semestre di studio sul socialismo reale, e poi era rimasto a insegnare inglese (diventerà in seguito uno dei più importanti traduttori di Havel nel mondo anglosassone). Si era aggiunto al gruppo, nel frattempo, il sassofonista jazz Vratislav Brabenec, di una generazione più anziano rispetto agli altri. Brabenec pose come condizione il passaggio alla lingua ceca nelle nuove canzoni dei Plastic People, e l’idea fu accettata.

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Cominciò una lunga epoca di avventurosa semiclandestinità. I concerti del gruppo  si svolgevano in luoghi remoti, persi nei boschi attorno a piccoli paesi boemi, e gli appuntamenti erano dati solo con il passaparola. Ogni concerto diventava una sfida e un’avventura. Si arrivava in treno in qualche stazioncina secondaria, si facevano chilometri a piedi tra boschi e sentieri di campagna, e magari all’arrivo c’era già la polizia che impediva la festa e arrestava qualcuno. Nel marzo del 1974, un migliaio di giovani si presentò nel piccolo paese di Ceske Budejovice per un concerto dei Plastic People. A centinaia furono malmenati, identificati, rimessi su un treno per Praga, e molti finirono in prigione. Per tutta risposta, Ivan “Magor” (folle) Jirous organizzò nel settembre successivo il primo festival della “seconda cultura”, battezzato “Hannibal’s Wedding”, nel villaggio di Postupice. Un secondo festival fu tenuto nella cittadina di Bojanovice il 21 febbraio 1976. Un mese dopo, la polizia segreta arrestò i Plastic Peole e alcuni loro sostenitori (ventisette persone in tutto), mentre Paul Wilson fu espulso dal paese.

Sei mesi dopo, cominciò un processo che avrebbe cambiato molte cose e che si concluse con la condanna a diciotto mesi di Jirous, mentre due componenti della band DG 307 si presero un anno e altre due persone (tra cui il Plastic People Brabenec) otto mesi per “disturbo organizzato della quiete pubblica”. Nell’aula del dibattimento e nei corridoi del palazzo di giustizia, a seguire quel processo farsa, si raccolsero intellettuali ed esponenti della dissidenza. Tra loro, Václav Havel, che avrebbe raccontato così, in un’intervista del 1985 citata da Tom Stoppard nell’introduzione a “Rock ’n’ Roll”, l’origine del cammino che avrebbe portato a Charta 77: “Per me personalmente, tutto iniziò in un giorno di gennaio o febbraio del 1976… Stavo scrivendo qualcosa, e all’improvviso batterono alla porta, aprii e lì, fermo, sulla soglia, c’era un mio amico di cui non desidero dire il nome, mezzo congelato e coperto di neve. Quasi en passant, questo amico mi propose di incontrare Ivan Jirous… Conoscevo già Jirous; l’avevo incontrato circa due volte a fine anni Sessanta ma non l’avevo rivisto da allora. Di tanto in tanto, mi arrivavano storie di sfrenatezze: racconti, come scoprii in seguito, del tutto travisati riguardo al gruppo di persone che si era raccolto intorno a lui, e che lui definiva ‘underground’, e riguardo ai Plastic People of the Universe”.

Quando si incontrarono, Jirous fece ascoltare ad Havel alcune incisioni dei Plastic People in un vecchio mangianastri, e Havel scoprì che “c’era una forza magica, perturbante, nella loro musica, e un intimo senso come di minaccia. C’era qualcosa di serio e di autentico… All’improvviso compresi che, a prescindere da quante parolacce usassero e da quanto fossero lunghi i loro capelli, la verità era dalla loro parte… nella loro musica c’era l’esperienza di un dolore metafisico e un profondo desiderio di salvezza”.
Fu deciso che Havel avrebbe assistito al concerto segreto che i Plastic People dovevano tenere dopo due settimane, ma nel frattempo la band fu arrestata. Il drammaturgo – futuro ultimo presidente della Cecoslovacchia e primo presidente della Repubblica Ceca – all’inizio faticò a ottenere solidarietà per i Plastic People. Molti esponenti della dissidenza tendevano infatti a considerarli più o meno teppisti, drogati e parassiti. Per lui, invece, era chiaro che su di loro si consumava “un attacco del sistema totalitario alla vita stessa, all’essenza stessa della libertà e dell’integrità umana”. Scrive ancora Stoppard che “il caso dei Plastic People divenne una ‘cause célèbre’”, mentre il breve samizdat dedicato alla vicenda da Havel (“Il processo”, 1976) è stato uno dei riferimenti fondamentali per la stesura di “Rock ’n’ Roll”.

Fu dopo la condanna dei Plastic People che si consolidò la decisione di scrivere e rendere pubblico il manifesto per i diritti umani chiamato Charta 77, che porta la data del primo gennaio di quell’anno e che comporterà, per il suo portavoce Havel, nuove persecuzioni. Compresa, dal giugno del ’79 al settembre dell’82, la prigione (di quel periodo rimane il bel carteggio con la moglie, “Lettere a Olga”, pubblicato da Santi Quaranta). Ma sempre nel ’77, in ottobre, dopo il rilascio di Brabenec, Havel mise a disposizione la sua casa di Hradecek per consentire ai Plastic People of the Universe di organizzare il “Terzo festival della seconda cultura”.
Dovevano passare ancora molti anni di buio, prima che, con la caduta del Muro, la “rivoluzione di velluto” coronasse le aspirazioni a una vita libera che erano state dei Plastic People e di un paese intero. Non ci si stupirà di sapere che, nel gennaio del 1990, tra i suoi primi atti da presidente della Cecoslovacchia, Havel decise di invitare Frank Zappa al Castello di Praga. Nello stesso anno, Havel incontrò anche Lou Reed, l’inventore di quei Velvet Underground che furono la prima fonte di ispirazione per i Plastic People. Nella notte, Havel e Reed andarono ad ascoltare la band in un locale, e Reed finì sul palco a suonare con loro la musica dei Velvet, in un incredibile finale degno di un romanzo che si potrebbe banalmente intitolare “Le vie del rock, e della libertà, sono infinite”.
Un capitolo fondamentale di quel romanzo lo troviamo rappresentato al meglio proprio in “Rock ’n’ Roll” di Tom Stoppard, nato Tomas Straussler, nel 1937, a Zlín, in Cecoslovacchia, e diventato inglese per via del secondo matrimonio della madre. Il geniale autore di “Rosencrantz e Guildenstern sono morti”, lo sceneggiatore di “Brazil”, dell’“Impero del sole” e di “Shakespeare in Love”, è capace di rappresentare con giusta mescolanza di humor british e di visionarietà boema la storia rockettara qui in parte raccontata. E’ da Stoppard-Straussler riuscire ad accostare sul palcoscenico il personaggio Syd Barrett, fondatore dei Pink Floyd e sorta di protagonista segreto della pièce, ad Havel (al quale il lavoro teatrale è dedicato), che regala al personaggio di Jan parole e idee.

Nell’introduzione a “Rock ’n’ Roll”, Stoppard spiega che, quando nel 1977 visitò alcuni paesi dell’est europeo con una delegazione di Amnesty International, a Praga credette di incontrare la “sua immagine riflessa”: il teatrante Havel, dissidente e portavoce di Charta 77. Uno che aveva capito, tra i primi, qualcosa di fondamentale. E cioè, scrive Stoppard, che “non c’è nessuna situazione in cui è più difficile far coincidere la teoria con la pratica che quando si vuole ‘vivere nella verità’ in una società che mente a se stessa. Nella Cecoslovacchia, dal 1968 al 1990, una band rock ci andò vicino come nessun altro”.

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