Money League/28
Perché Manchester United e Barcellona non sono in finale per caso
16 settembre 1992, è questo il D-Day del calcio europeo, il giorno in cui tutto ebbe inizio e la Coppa dei Campioni cominciò a perdere nome e proporzioni, soprattutto quelle economiche. L’Uefa non aveva chiara la formula da adottare e la "gioventù" che alberga negli uffici di Nyon in Route de Genève 46 tirò fuori qualcosa a metà tra i Mondiali del ’50 in Brasile e quelli degli anni Settanta, di girone in girone verso la finale.
16 settembre 1992, è questo il D-Day del calcio europeo, il giorno in cui tutto ebbe inizio e la Coppa dei Campioni cominciò a perdere nome e proporzioni, soprattutto quelle economiche. L’Uefa non aveva chiara la formula da adottare e la "gioventù" che alberga negli uffici di Nyon in Route de Genève 46 tirò fuori qualcosa a metà tra i Mondiali del ’50 in Brasile e quelli degli anni Settanta, di girone in girone verso la finale.
Con due dati d’interessante lettura. Il primo è abbastanza evidente: più vinci, più guadagni, maggiormente investirai per raggiungere gli stessi obiettivi. Risultati alla mano, in Europa i ricchi lo diventano sempre di più e agli altri restano le briciole, anche sotto forma di Europa League, dove infatti dominano squadre dell’Est, portoghesi di ultima generazione, spagnole, italiane, olandesi e inglesi di seconda fascia, con l’eccezione Galatasaray.
L’altro riguarda i proventi che si sono spartiti i club per la partecipazione alla Champions League 2009-10, quella del dominio mourinhiano, tanto per farsi un’idea. L’Inter, ovviamente, è prima con 48.759.000 euro, segue il Manchester United con 45.811.000 e il Bayern Monaco con 44.862.000 (fonte futebolfinance.com). I Red Devils sono quelli che hanno ottenuto di più dai diritti commerciali, quasi 29 milioni di euro, staccando di gran lunga tutti gli altri, mentre l’Inter ha fatto fruttare il campo. Tra i primi venti, scendendo anche di un terzo con i proventi, ci sono Porto, CSKA Mosca, Besiktas e Olympiakos, per il resto tutte squadre appartenenti ai cinque maggiori campionati. Al 32° posto c’è il Maccabi Haifa con 8.530.000 euro, di cui 7,1 dai risultati sportivi. Soldi che, come nel caso del Debreceni, Apoel e Standard Liegi servono sicuramente ma non cambiano il destino di un club. Per i piccoli, infatti, la Champions è come una lotteria ma non un business su cui fare programmi a lunga scadenza.
Ogni anno vincerla frutta qualche milione in più, ma sono cifre risibili rispetto ai costi operativi e all’indebitamento (secondo Deloitte la perdita netta attuale della serie A è di 250 milioni di euro), a volte appena sufficienti a coprire il monte ingaggi. Nel 2009 sporteconomy.it stimava 3 miliardi di sterline di debiti per la Premier League e 2 per il campionato italiano. Eppure, proprio il calcio più indebitato spadroneggia nella moderna Champions League (la finale Manchester United-Barcellona è solo una sintesi). E il fair play finanziario incombe. Un dubbio, però, ci perseguita: la Champions League doveva rendere più ricchi i club e aiutare il calcio europeo, ma il circolo virtuoso è diventato vizioso e il rischio implosione (banche permettendo) è sempre dietro l’angolo. E se stessero solo cercando di rimediare a un grossolano errore di prospettiva?
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