Dell’Utri, il fatto non sussiste
Il fatto non sussiste. Lo ha detto ieri la sentenza della prima Corte d’appello di Milano. Il senatore del Pdl e vecchio amico e collaboratore di Silvio Berlusconi, Marcello Dell’Utri, condannato in primo e secondo grado a sette anni per il reato di “concorso esterno in associazione mafiosa”, non fece nel 1991 un’estorsione, appunto mafiosa, ai danni dello sponsor di una squadra di pallacanestro trapanese.
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Come abbiamo documentato in queste colonne molte volte, con la massima precisione possibile, il reato concorsuale per cui il senatore Dell’Utri dovrebbe scontare sette anni di carcere è fondato sulla chiacchiera e l’interpretazione. Amicizie dubbie, giri sospetti di lavoro e di vita sociale, o anche semplicemente certi elementi connaturali alla “palermitanità”, tutta questa informe paccottiglia di diceria e allusione è la sostanza, non solo dell’accusa, ma della stessa formulazione della fattispecie di reato per cui si è proceduto in tanti casi italiani di malagiustizia. Non c’è un paese al mondo che preveda questo estremo e grottesco caso di reato associativo di secondo grado. Non c’è giurista serio che voglia compromettersi difendendo questa abnormità. Ora, nel processo Dell’Utri, l’accusa, compreso il solito pm che fa comizi politici in piazza e considera un’icona dell’antimafia il calunniatore Ciancimino Jr., ha sostenuto che il “fatto” mafioso in realtà c’era, e che quel fatto era un tentativo di estorsione del 1991, in combutta con un boss, ai danni dello sponsor della pallacanestro. Ecco, ora è accertato che quell’unico fatto “non sussiste”.
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