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Money League/26

Che cosa succede se le cinque "grandi" lasciano la Serie A?

Francesco Caremani

C’è un dato che troppo spesso gli addetti ai lavori del calcio italiano dimenticano. La serie A 2006-07, quella senza la Juventus (retrocessa in seguito a Calciopoli), perse più di un milione di spettatori allo stadio (1.226.412) rispetto alla precedente stagione, recuperandone quasi 2 (1.755.343) nel 2007-08 con i bianconeri freschi neopromossi, passando da una media per partita di 19.711 a 23.887. Nel 2008-09 sono diventati più di 9 milioni, dato mantenuto (decina più decina meno) anche nel 2009-10.

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C’è un dato che troppo spesso gli addetti ai lavori del calcio italiano dimenticano. La serie A 2006-07, quella senza la Juventus (retrocessa in seguito a Calciopoli), perse più di un milione di spettatori allo stadio (1.226.412) rispetto alla precedente stagione, recuperandone quasi 2 (1.755.343) nel 2007-08 con i bianconeri freschi neopromossi, passando da una media per partita di 19.711 a 23.887 (fonte stadiapostcards.com, da cui mancano per tutte le stagioni i numeri del Cagliari). Nel 2008-09 sono diventati più di 9 milioni, dato mantenuto (decina più decina meno) anche nel 2009-10, periodo in cui le cinque grandi (Inter, Juventus, Milan, Napoli e Roma) hanno portato allo stadio 3.870.288 contro i 5.334.971 delle altre quindici. Nel campionato in corso, a due giornate dalla fine, siamo a poco più di 8 milioni.

Ma la cosa che risalta maggiormente agli occhi è che nel 90-95 per cento dei casi il picco di spettatori i club di serie A lo fanno proprio contro le cinque grandi che, evidentemente, avendo un maggiore bacino d’utenza richiamano più spettatori, tanto che i picchi minimi risultano quasi sempre contro le provinciali. Tutti ragionamenti al lordo delle decisioni del Casms sulle trasferte di determinate tifoserie. Seguendo queste cifre verrebbe da dire che le cinque grandi hanno fatto bene a ribellarsi, contestando la definizione di ‘sostenitori’, introdotta dalla legge Melandri, contro quella di ‘tifosi’, che non a caso riempiono gli stadi dei club minori proprio grazie alla presenza dei big. Detta così bisognerebbe chiamare l’Accademia della Crusca per dirimere l’impasse creatasi con la contrattazione collettiva dei diritti televisivi per la serie A, ma dietro le parole ci sono 200 milioni di euro che di questi tempi fanno gola a tutti, tra debiti, costo del lavoro (ingaggi) e fair play finanziario che incombe.

In Italia i diritti televisivi sono così suddivisi: 40 per cento in parti uguali tra i 20 club del massimo campionato; 30 per cento in funzione dei risultati sportivi (10 per cento sullo storico, 15 per gli ultimi cinque anni e 5 per cento per l’ultima stagione); 30 per cento in funzione dell’audience televisiva (5 per cento in base agli abitanti delle rispettive città, 25 per cento in base al numero di tifosi-sostenitori).

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In Inghilterra la ripartizione democratica è del 50 per cento, il 25 in base alla classifica, l’ultimo 25 in base all’audience televisiva, fatto sta che la scorsa stagione il Manchester United ha incassato 58,2 milioni di euro contro i 34,9 del Middlesbrough, un gap tra primo e ultimo di 23,3, mentre in serie A si superano abbondantemente i 60 milioni di differenza. Una sperequazione che rischia di far affondare tutto il movimento.

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Lo squilibrio maggiore si registra in Spagna, dove Barcellona e Real Madrid incassano 140 milioni a testa contro i 42 della terza e i 12 dell’ultima. La Liga, infatti, risente in maniera pesante della diarchia economica e sportiva con società fortemente indebitate, stipendi non pagati e rischio default. La Ligue 1 segue l’esempio della Premier League con la differenza che la classifica vale il 30% e l’audience televisiva solo il 20 per cento. L’equilibrio maggiore lo registra la Bundesliga dove tra primo e ultimo ci sono solo 14,8 milioni di differenza, questo ha reso tutto il movimento maggiormente competitivo, riportando spettatori allo stadio (moderni ed efficienti) e altri soldi nella casse dei club.
La classifica della Deloitte sui ricavi dei principali club europei mette in evidenza altri gap tutti italiani, dove i diritti televisivi pesano più della biglietteria e del merchandising, mentre l’Arsenal ha entrate maggiori dallo stadio che dalle televisioni (114,7 milioni di euro contro 105,7). La Roma ne prende 19 dagli spettatori e 65,6 dai media, la Juventus addirittura 16,9 contro 132,5 e solo 55,6 dal brand contro i 172,9 del Bayern Monaco.

Lunedì le 5 grandi torneranno a confrontarsi con i 15 “peones” e solo allora capiremo un po’ meglio il futuro della serie A. Il potere economico e sportivo delle prime si farà sentire e la minaccia di uscire fuori dalla Lega da parte della Juventus potrebbe rappresentare un primo strappo verso la Superlega europea (cosa già accaduta nel rugby e nell’hockey su ghiaccio), con le altre big continentali alla finestra. "Contestano che 15 peones votino contro 5 di sangue blu" ha sbottato il presidente del Cagliari Cellino. Certo, non sarebbe male se anche le provinciali pagassero ai dilettanti il premio di formazione invece di alzare muri invalicabili con l’aiuto delle grandi che adesso vogliono sottomettere.

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