Il grande fuoco di Tripoli
L’Europa si divide tra nord e sud nella gestione della crisi libica
L’Unione europea è divisa sulla rivolta contro il regime del colonnello Muammar Gheddafi in Libia. Per i ministri degli Esteri dei Ventisette è stato il “punto più complesso” della discussione al Consiglio di ieri sul futuro del Mediterraneo.
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La frattura sulla Libia riflette l’impreparazione di fronte alle rivolte che attraversano il mondo arabo e musulmano. Le belle parole sulla necessità di sostenere “le aspirazioni democratiche dei popoli” si scontrano con le paure e gli interessi dei singoli paesi. In una riunione con gli ambasciatori europei il 17 febbraio, il segretario generale del ministero degli Esteri libico ha annunciato che Tripoli “non esiterà a rompere immediatamente tutte le cooperazioni con l’Ue sulla lotta contro l’immigrazione clandestina e l’antiterrorismo (…) e a nazionalizzare le attività delle società europee”, in particolare petrolifere. Pur non difendendo apertamente il regime di Gheddafi – “l’Ue non ha mai detto chi se ne deve andare e chi deve restare” – Frattini ha spiegato le priorità dell’Italia: “E’ il primo partner economico”, occorre evitare “flussi di inimmaginabili dimensioni” di migranti e l’emergere di “forze estremiste islamiche a pochi chilometri dalle coste dell’Europa”. I francesi, dopo il caos tunisino, hanno adottato un più basso profilo; Regno Unito e Germania, meno esposti ai rischi migratori, vedono nella caduta di Gheddafi un’opportunità per riconquistare il terreno perduto.
Priorità nazionali concorrenti, timori per l’islamismo, paura dell’immigrazione, opportunità di business e ripercussioni economiche condizionano anche il più ampio dibattito europeo sul Mediterraneo. Dopo il rovesciamento di Ben Ali in Tunisia e Mubarak in Egitto c’è stato “un fiorire di proposte”, spiega al Foglio un ambasciatore europeo: “Vanno da un riorientamento di fondi e programmi di cui l’Ue già dispone, alla mobilitazione di un miliardo di euro”. Ma “nella partita devono rientrare altri donatori”, perché le difficoltà finanziarie dei paesi europei non permettono un programma straordinario per far fronte alla transizione sulla sponda sud del Mediterraneo. Occorre “fare in modo che questa crisi sia utilizzata per ricostruire una politica mediterranea dell’Ue, che ha segnato il passo”. L’Unione per il Mediterraneo “è stata un fallimento totale”. La politica per il vicinato è stata troppo orientata all’ex spazio sovietico, prioritario per Polonia e Germania. Ora nel Mediterraneo Frattini propone un Piano Marshall, mentre Francia, Spagna, Cipro, Grecia, Malta e Slovenia chiedono di spostare i finanziamenti europei dall’Europa dell’est al “vicinato meridionale”. Ma Regno Unito e Germania preferirebbero aprire le frontiere del commercio, in particolare agricolo, con ripercussioni negative sull’Europa del sud. Se l’Europa si distingue per esitazioni e cacofonia, gli Stati Uniti stanno riprendendo l’iniziativa nella regione. Sulla Libia, il presidente Barack Obama “sta considerando tutte le azioni appropriate”, ha detto ieri la Casa Bianca. Hillary Clinton ha detto che l’Amministrazione sosterrà le forze pro democrazia: “E’ una sfida intrinseca nella diplomazia e negli sforzi dell’America nel mondo”.
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