Ex neodestristi, accademici, situazionisti. I nuovi intellò di Fini

Maurizio Stefanini

“Manifesto di ottobre”: è questo il logo dell'“appello agli intellettuali italiani per un nuovo impegno politico-culturale” su cui trenta intellettuali “autoconvocati” hanno discusso in un seminario alla sala San Claudio di Palazzo Marini a Roma. Trenta personaggi non solo di diverse provenienze, ma con l'idea esplicita di “superare il ricatto paralizzante delle passate appartenenze”, per sfruttare “il varco che si aperto con Futuro e Libertà”: “un atto di politica generativa, una decisione perché qualcosa avvenga”.

    “Manifesto di ottobre”: è questo il logo dell'“appello agli intellettuali italiani per un nuovo impegno politico-culturale” su cui trenta intellettuali “autoconvocati” hanno discusso ieri in un seminario alla sala San Claudio di Palazzo Marini a Roma. Trenta personaggi non solo di diverse provenienze, ma con l'idea esplicita di “superare il ricatto paralizzante delle passate appartenenze”, per sfruttare “il varco che si aperto con Futuro e Libertà”: “un atto di politica generativa, una decisione perché qualcosa avvenga”. E riuniti “in un luogo istituzionale” (appartiene alla Camera dei deputati) “per rappresentare l'intenzione degli intellettuali di riprendere a occuparsi di istituzioni”: così spiega al Foglio Monica Centanni, che è uno dei due organizzatori dell'evento. Tre le associazioni promotrici di questo “laboratorio politico”. La più nota, per lo meno in questi ultimi tempi, è Fare Futuro: non solo pensatoio organizzato del movimento finiano, ma in qualche modo suo prepartito e catalizzatore. Poi c'è Libertiamo di Benedetto Della Vedova, che con la provenienza radicale del suo promotore rappresenta in qualche modo un collegamento con una storia liberale più classica. E c'è anche il Forum delle Idee “nato nel 2007 dalla premessa che fare politica è fare attrito con l'esistente, non accomodarsi sul senso comune; disegnare scenari prima imprevedibili, non acquarellare il mondo che c'è. La politica è decisione per far accadere le cose”.

    Uno dei due nomi di riferimento del Forum delle Idee è Peppe Nanni: milanese, militante delle organizzazioni giovanili del Msi fin dai tempi della Giovine Italia, e all'inizio degli anni Novanta ideologo del terzoforzismo alemanniano. Di letture vastissime, famoso per le sue “telefonate intellettuali nel cuore della notte”, dicono che il suo limite sia una certa pigrizia nello scrivere che lo ha portato a non firmare mai un libro. Avvocato e filosofo, nel suo percorso c'è stata anche la Nuova destra di Marco Tarchi: ma dopo la divaricazione dei rispettivi percorsi come punti di riferimento preferisce citare Cacciari e lo storico esponente del Msi pisano Beppe Niccolai. Attualmente è promotore di un'associazione che si chiama Hetairia, “come i sodalizi in cui si organizzavano i cittadini ateniesi per fare politica”. Quando a inizio 2007 dal Forum delle Idee venne la proposta di un manifesto per l'allora An in cui si affermava che, “culla del cristianesimo e quindi del cattolicesimo”, l'Italia “è però anche erede di un'antropologia intimamente politeista”, dentro al partito si scatenò l'ira di una componente cattolica in cui peraltro, assieme a Mantovano o Storace, c'era allora anche Bocchino. Qualcuno ricordò appunto la vicinanza tra Nanni e il filosofo politeista francese Alain De Benoist.

    Ma Fini diede allora un'interpretazione di “politeista” come “plurale”, e in effetti Nanni in questo momento sembra citare ben altri numi tutelari. Aristotele, certo: con l'idea dell'uomo come animale politico “grande invenzione dell'occidente”; poi la battuta provocatoria: “Perché non proviamo a reintrodurre il sorteggio per qualche carica?”. Per gli antichi elleni era il sorteggio la vera democrazia, mentre il regime rappresentativo era aristocratico… Ma c'è anche Jefferson: “La politica come piacere di stare insieme”. E Hannah Arendt. Alla faccia dello stereotipo sulla Nuova destra e su chi di lì proviene come fautore della antimodernità, Nanni parla invece da entusiasta della rete che libera la potenza dell'Evento”. Quasi un ponte che si stende tra le utopie della polis greca e quelle della società globalizzata, in qualche modo riconciliandole tra di loro. “La fluidità tra i nessi, il gioco di rifrazione tra i nodi, concepito come campo energetico privo di centro, non affida a nessuna istituzione burocratica le chiavi del cuore avventuroso di questo logos eracliteo ma moltiplica l'energia, consentendo al sistema di scambio, a Matrix, di concentrarsi nella distensione, strutturando in modo inedito le sue combinazioni molecolari”. Anche il “varco” di Fini è visto allora come una sorta di ponte. “Tra la cultura orpello e la politica cieca bisogna che qualcosa avvenga, che ridia spazio alla politica”. La stessa proposta di allargare la cittadinanza ai “nuovi italiani” che tanto ha scioccato l'elettore di destra tradizionale, spiega Nanni, “non è soltanto la risposta a una questione sociale ed economica, ma va nella direzione di un generale ripensamento dei motivi e delle forme fondative del nostro modello di convivenza: è un'occasione che si offre ai cittadini ospitanti, gli italiani, di ricordare quale sia, sul piano dell'impegno civile, il loro ruolo attivo nella città”.

    Ma ancora più di Grecia, ovviamente, ci parla l'altra organizzatrice, Monica Centanni. Veneziana, animatrice della libreria il Rinoceronte e della rivista Engramma, “tradizione classica nella memoria occidentale”. E a Venezia, appunto, nel 1993 formalizzò un'antica attrazione della Nuova destra per Massimo Cacciari appoggiandolo nella sua vittoriosa candidatura a sindaco, mentre anche l'Italia settimanale di Marcello Veneziani se ne usciva con una clamorosa dichiarazione in favore del filosofo. Ma proprio di Lingua e letteratura greca Monica Centanni è oggi professore associato alla facoltà di Architettura dell'Università Iuav di Venezia, e da filologa si è occupata in particolare di drammaturgia antica e tradizione classica. Sua, in particolare, la prima traduzione italiana del “Romanzo di Alessandro”, nel 1990. E sua una versione del 2003 delle “Tragedie” di Eschilo. Alla richiesta di fornire una propria presentazione, infatti, lei risponde che non è importante la “presentazione” ma la “rappresentazione”. “La tragedia parla di noi”, dice. “Medea è la Franzoni, perché a quale madre non viene l'idea di ammazzare i propri figli? E il teatro è la stessa rappresentazione del conflitto da cui nasce la democrazia”. Non a caso, “la tragedia nasce per sostituire Dioniso”. Ma come nelle grandi epoche di rottura che nell'Atene antica e nell'Inghilterra elisabettiana hanno prodotto la contemporanea nascita delle rappresentazioni teatrale, democratica e sportiva, anche il nostro è un tempo in cui tutto starebbe diventando possibile. “C'è di nuovo un problema di rappresentanza, di quelli che sono oggi gli invisibili. Tutti i soggetti potenzialmente attivi oggi confusi nella massa grigia dei non votanti, così quanti non sono sensibili ai rilevamenti statistici: precari, giovani, immigrati, tutti i renitenti alla socialità politica”. Un mondo invisibile che oggi ha finito per investire anche “le fasce pensanti della popolazione dai ricercatori ai professionisti agli studenti. Tutti refrattari alla vita politica perché politicamente più esigenti e quindi non corrisposti dalle logiche privatistiche, antipolitiche, anticulturali che spesso in questi anni hanno monopolizzato la sfera pubblica”.

    Giuliano Compagno, tra i trenta, è invece uno di quelli che non viene dalla destra, anche se nella sua nutrita bibliografia c'è un libro su Drieu La Rochelle. Romano di genitori siciliani ma tifoso del Napoli, un padre famoso avvocato, liceo al Giulio Cesare con Franco Frattini che stava due anni avanti a lui, ama spesso scherzare sul sottinteso ideologico del suo cognome, ma da ragazzino passò sul serio per la superficiale militanza nei gruppuscoli dell'ultrasinistra tipica degli anni Settanta. In compenso, negli anni Ottanta, il milieu sostanzialmente liberale del proprio ambiente di provenienza lo portò a militare in Amnesty International: la primissima Amnesty International portata in Italia da Margherita Boniver, in cui fu l'equivalente di un “segretario regionale” per il Lazio. E quella “lunga militanza” è da lui ancora considerata un evento qualificante: “Non comunista negli anni Settanta, non socialista negli anni Ottanta, non berlusconiano negli anni Novanta, non federalista, non buonista, non garantista, non pacifista, non filoamericano, ma situazionista, pongista, pokerista, eterosessuale, laico”. Ricorda anche di essere stato un “caso unico” di italiano che nel 1999, dopo 15 anni al dipartimento di ricerche filosofiche, rinunciò alla carriera universitaria “denunciando in diretta su Radio 1 una commissione di concorso fasulla”. Nel frattempo era comunque diventato scrittore, pubblicando a partire dal 1987 saggi, romanzi, aforismi, frammenti e quelle che lui definisce “guide xenofobe”. Quasi futurista un suo “esperimento di letteratura antropologica” intitolato “L'assente”: raccolta di tutto ciò che fu registrato nella sua segreteria telefonica nei sei mesi durante i quali decise di non rispondere più al telefono. Sua anche una famosa presentazione del primo disco del complesso demenziale romano “Latte e i suoi derivati”. Per tre anni direttore dell'istituto italiano di Cultura a Oslo, più di recente, dopo la vittoria di Alemanno, collaboratore dell'assessore alla Cultura Umberto Croppi, Giuliano Compagno è stato da ultimo il curatore del volume “In alto a destra. Attorno a Fini: tre anni di idee che sconvolgono la politica”. Dalla quarta di copertina: “[…] destra e sinistra non solo rappresentano categorie politiche vecchie ma sono diventati via via luoghi intransitabili da una buona politica tutta da costruire, in cui finalmente si affermi una forza libertaria, sensibile alla modernità, capace di coniugare sul serio doveri e diritti, durissima con chi ruba e corrompe, pronta ad affrontare il cambiamento epocale della società nazionale ed europea”.