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Le doppie vite degli altri

Giuliano Ferrara

L'arresto di Flavio Carboni: un altro caso nel quale i reati, che sono il succo della giustizia penale, e le prove, anche quelle utili in uno stato di diritto, ci sono e non ci sono

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L’arresto di Flavio Carboni non mi sorprende. Questo vecchio brasseur d’affaires, parecchio malvissuto, era un caro amico di un mio amico con il quale tentava di fare affari, il principe Carlo Caracciolo, recentemente scomparso. Un giorno il Carboni, questa figurina minuta e nerissima, venne a una mia surreale e gridata trasmissione televisiva e, alla fine, nel cortile antistante gli studi, si formò un crocchio con gli ospiti per un rapido commento e un arrivederci. Chiesi: “Ma dov’è il dottor Carboni?”. Mi dissero: “Sono venuti a prenderlo”. Se lo erano portati via seduta stante, una delle non rare volte in cui questo è accaduto, gli uomini in divisa. Non sono nemmeno sorpreso del fatto che il Carboni, prototipo del faccendiere dai lontani tempi del povero Roberto Calvi e dello scandalo Ior-Ambrosiano, tenti di fare affari con miei amici o conoscenti: infatti stavolta aveva cercato di intortare un altro mio amico, Denis Verdini, per fare qualche bell’impianto eolico in Sardegna. Non risultano business con il compianto Caracciolo, anche perché all’epoca non si esagerava con le intercettazioni, e anche quello con Verdini è un tentato business mai realizzato, di cui sarà compito degli inquirenti, che sono uomini d’onore, dimostrare il carattere criminale o penalmente rilevante.

Sono invece stupito per il fatto di vivere in uno stato di polizia, e di dovere scrivere di un nuovo romanzo criminale che corre sui nastri delle intercettazioni nel giorno solenne di lotta contro il bavaglio. Carboni è stato arrestato con due soci suoi, i campani Pasquale Lombardi, giudice tributario dalle parti di Avellino, e Arcangelo Martino, imprenditore qualificato come partenopeo. Dalla lettura dell’ordinanza di custodia cautelare in carcere, firmata dal Gip su proposta di due pm della procura di Roma, emerge che i tre avevano costituito una lobby non proprio di primaria influenza e levatura per ottenere scopi affaristici e benemerenze politiche in ambiti governativi e regionali, sardi e campani (con un’incursione molto sfortunata a Milano, zona Formigoni). Le intercettazioni sono un vasto mare di chiacchiere dal sapore trucido e volgarmente lobbistico, ed è il giudice tributario Lombardi il Loquacissimo, spesso rimproverato dai sodali che minacciano di togliergli il telefono, e costretto, poverino, a nascondersi invano dietro utenze messicane. Ci sono momenti di puro Totò, non senza Peppino. Però lo stato di polizia è meno divertente dei romanzi che vi si scrivono, firmati Gip.

Insomma. Come al solito non è dato ravvisare un fatto o una catena di fatti empiricamente configurabili come reati puntualmente compiuti da persone penalmente responsabili dei medesimi, a meno che non si intenda come “reato” la vaga “associazione per delinquere semplice”, senza riscontri inattaccabili intorno ai quali far ruotare la brutta fattispecie dell’imputazione di tipo “associativo”; quanto al secondo motivo degli arresti, la legge Anselmi del 1982, quella che sciolse la P2, di cui naturalmente il cattivo Carboni faceva parte, e vietò le associazioni segrete, siamo nel mio libero giudizio alla storia che marxianamente si ripete in forma di farsa. Angelo Rizzoli, prosciolto da ogni addebito come quasi tutti i piduisti, rivuole indietro il “Corriere rapito” all’epoca della caccia al massone cattivo, poi risoltasi in generali assoluzioni e generose, e qui si tende, al di là di ogni migliore intenzione, a ripetere tale e quale l’ammuina. La Anselmi diede giù a chi stava nelle liste dei reprobi che definì senz’ombra di ironia “sostanzialmente veritiere”, dove il sostanzialmente spiega tutto. Fu varata una leggina d’emergenza per ripulirsi la coscienza liquidando una massoneria dall’attivismo seccante per tornare a peccare con l’altra massoneria, e quasi trent’anni dopo si ricomincia. Ma dove siamo, nella DDR delle vite degli altri? (Con il che non si vuole certo paragonare Carboni ai dissidenti e ai bohémien di Prenzlauer Berg, ci mancherebbe).

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Andiamo alla sostanza, che in fatti di giustizia (come sanno le persone serie) è la forma. Questa lobby segretissima e loquacissima sempre “auscultata” da un nucleo di brigadieri non ha combinato nessuno, dicasi nessuno, degli scopi per cui sarebbe stata costituita. Volevano l’eolico in Sardegna. Niente. Volevano Nicola Cosentino a capo della regione Campania, ma Berlusconi ha scelto Stefano Caldoro, contro il quale invano i congiurati hanno tentato la diffamazione, con mezzi assai biechi. Volevano che fosse accolto un ricorso di Roberto Formigoni presso l’ufficio elettorale, e il ricorso fu respinto. Volevano influenzare la magistratura (c’è anche una gustosa telefonata tra il Loquacissimo e un membro del Csm, che leggerete domani sulla stampa tabloid), e non ci sono riusciti. Volevano che il Guardasigilli Angelino Alfano mandasse ispettori a Milano. Nisba. Volevano influenzare la Corte costituzionale per far passare lo scudo del Cav., chiamando in napoletano deputati ai quali domandavano se avessero per caso relazioni altolocate. Niente di niente.

Non posso negare che il Verdini si sia comportato con leggerezza antipolitica, invitando a cena questo trio Lescano. Non posso negare che il Loquacissimo, il giudice tributario, avesse la capacità di fare raccomandazioni solforose per i suoi simili in alto loco. Né che alla lobby sia riuscito di piazzare un tizio, considerato da loro un amico, a capo di un’agenzia sarda per l’ambiente. Ma non credo francamente che sia l’unica lobby attivatasi per nomine del Csm o per raccomandazioni nella Pubblica amministrazione. E’ tra le non molte che vengono scoperte e arrestate, purtroppo a prescindere da reati chiaramente definiti. Infatti l’ordine di cattura finisce con il solito saggio in cui il Gip, riportando letteralmente gli argomenti dell’accusa, spiega che la legge Anselmi è ottima, e la fattispecie dell’associazione segreta rigorosamente dimostrata, e che i tre si erano associati per delinquere. Ma i reati, che sono il succo della giustizia penale, e le prove, anche quelle utili in uno stato di diritto, ci sono e non ci sono. E questa vaghezza è tipica degli stati di polizia e dell’uso scanzonato delle intercettazioni. Che leggerete domani, con il forte condimento della lotta politica, sui giornali indipendenti oggi in sciopero, le cui ragioni intransigenti riportiamo per correttezza altrove. Buona lettura.

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