La banda del Bondi

Marianna Rizzini

C'è qualcosa di nuovo e di strano nell'alta burocrazia ministeriale. Se Rocco Buttiglione ti regala una statuetta giapponese raffigurante un lottatore di sumo, un motivo c'è. Figuriamoci se – come ha fatto al ritorno da un viaggio a Tokyo, nel 2005, quand'era ministro dei Beni culturali – Buttiglione di statuette sumo ne regala addirittura due, uguali, a due alti funzionari del ministero: i giovani e fisicamente imponenti direttori generali Cinema e Spettacolo dal vivo, Gaetano Blandini e Salvo Nastasi.

    Dal Foglio del 20 novembre 2008

    C'è qualcosa di nuovo e di strano nell'alta burocrazia ministeriale. Se Rocco Buttiglione ti regala una statuetta giapponese raffigurante un lottatore di sumo, un motivo c'è. Figuriamoci se – come ha fatto al ritorno da un viaggio a Tokyo, nel 2005, quand'era ministro dei Beni culturali – Buttiglione di statuette sumo ne regala addirittura due, uguali, a due alti funzionari del ministero: i giovani e fisicamente imponenti direttori generali Cinema e Spettacolo dal vivo, Gaetano Blandini e Salvo Nastasi, oggi anche amministratore unico di Cinecittà (Blandini) e capo di Gabinetto del ministro (Nastasi). E in effetti il motivo di quel dono buttiglionesco era solo apparentemente legato alla pinguedine o robustezza estrema di cui i due dirigenti, ancora oggi, vanno fieri (nonostante i continui proclami del lunedì: “Da oggi sono a dieta”, lanciati da Blandini e smentiti da Nastasi).

    I due – Blandini e Nastasi, il primo quarantesettenne, l'altro trentacinquenne – sono lottatori di sumo nel piglio e nell'animo, anche se non nei modi, squisitamente da Prima Repubblica nel senso alto del termine: sono in grado di resistere ai cambi di legislatura, e poi di mediare, piacere, dispiacere e poi di nuovo piacere a uomini di estrazione politica assai diversa. E infatti sono ancora lì nonostante l'avvicendamento di quattro ministri – Giuliano Urbani, Rocco Buttiglione, Francesco Rutelli e ora Sandro Bondi – e nonostante i pettegolezzi che li davano di volta in volta per sostituiti.

    A questo punto bisognerebbe raccontare ciò che Nastasi e Blandini fanno di mestiere, cose d'alta burocrazia comuni ad altri burocrati di pari grado: tagliare, far quadrare conti, assegnare fondi, ascoltare lamentele, infischiarsene delle lamentele, approvare e respingere progetti, litigare con gli amministratori locali, far pace con gli amministratori locali. E però sarebbe un peccato fermarsi a raccontarlo. Perché stavolta, per una congiuntura di eventi, il ministero della Cultura non è un ministero come gli altri: c'è infatti un nuovo ministro con un animo mite e un passato a sinistra, Sandro Bondi, poeta per diletto che non nasconde le umane debolezze – per esempio la paura di volare. C'è un portavoce ottantunenne, Lino Jannuzzi, ex senatore di Forza Italia, grande fumatore di sigari (a dispetto dei divieti) e grande giornalista, firma storica dell'Espresso (sua e di Eugenio Scalfari fu, nel 1967, l'inchiesta su Sifar e piano Solo). Ci sono i suddetti plenipotenziari Blandini e Nastasi, due che, a dispetto del peso imponente, si muovono con levità un po' indiscreta tra i corridoi deserti del ministero, ridendo e spettegolando e facendosi gli scherzi, come a scuola, tra una riunione e l'altra, e telefonandosi venti volte al giorno, roba che nemmeno le coppiette più appiccicose – e allora Jannuzzi, per il gusto sornione del dispetto, spesso li chiama senza apparente motivo, soltanto per disturbare l'idillio cameratesco che lega i due gran burocrati. Uno li guarda avanzare e pensa: se li scoprono i fratelli Coen, li scritturano all'istante.

    E di fronte a un'apparizione dei quattro del ministero –  Bondi, Jannuzzi, Nastasi e Blandini, tutti insieme, così sorridenti e così insoliti, nell'aspetto e nel temperamento, per i ruoli ricoperti – viene da dire “chisseneimporta” delle pur serissime notizie che li riguardano, per esempio che Gaetano Blandini è l'uomo che decide a quali produttori assegnare i fondi statali per i film e che Salvatore Nastasi è l'uomo che mette a posto enti lirici in tutta Italia, dal San Carlo di Napoli al Maggio fiorentino all'Arena di Verona. Viene da sorvolare pure sulle baruffe da sumo che attorno ai due fioriscono, su Sabina Guzzanti che ce l'ha con Blandini per un finanziamento negato a un costosissimo documentario sulla satira, sui direttori dei piccoli festival che se la sono legata al dito per la cancellazione delle rassegne giudicate un inutile “di più”, su Italo Bocchino e Antonio Bassolino che litigano per la nomina del soprintendente al San Carlo mentre ancora Nastasi è commissario straordinario.

    Irresistibile è piuttosto il richiamo del particolare “ménage à quatre” che lega gli uomini chiave del ministero della Cultura. Nastasi ha 35 anni ma non fa la vita di chi ha la sua età da quando – figlio di pugliesi, fratello maggiore di due sorelle spumeggianti, ex studente del liceo romano Tasso, ex universitario mediamente studioso, fidanzato per molti anni con la stessa ragazza, poi scapolo non impenitente – approdò via concorso all'ufficio legislativo del ministero. Non si è più fermato. Ti credo che oggi, quando sua sorella diciottenne gli carica l'i-Pod con le ultime hit, Nastasi, che poco ha frequentato gli ambienti “giovani” (per mancanza di tempo, appunto), fa il commento che farebbe un padre o un nonno: ma che cosa sono questi frastuoni inascoltabili? E se Blandini a volte si concede un aperitivo, Nastasi vorrebbe ma non può – e però Jannuzzi dice che Blandini pensa di potersi concedere l'aperitivo ma, “poveretto”, non può più neppure lui, ora che deve pure “metter mano a quel marasma indicibile” (Cinecittà). E Blandini sospira e dice “per fortuna mi sono riprodotto prima”, cioè prima di entrare nel tunnel del grande incarico ministeriale.

    “Non facciamo i ragionieri” è la massima osservata (in tandem) dai due lottatori di sumo Blandini e Nastasi, anche detti, con sforzo men che minimo di fantasia, “gemelli del gol” da Francesco Rutelli e “dioscuri” da Giuliano Urbani. Blandini e Nastasi arrivano, ascoltano, tagliano. Sistemano, riorganizzano e prendono le critiche come accidente ineliminabile del potere. Il Pd, e in particolare Vincenzo Vita, ultimamente guarda con sospetto all'impronta ministeriale bondiana, così aerea nello stile – con la squadra a quattro così serenamente affiatata – e così decisionista nella sostanza, specie dopo l'ultima idea del ministro Bondi: creare un direttore generale dei musei (e nominare all'uopo un manager di McDonald's, Mario Resca).

    Gianni Letta, che è il vero mentore del duo Nastasi-Blandini, nominati direttori generali da Urbani nello stesso giorno del 2004, non ha un soprannome per la coppia. Non è di Letta, infatti, l'ennesimo soprannome prevedibile piovuto sui due, “il gatto e la volpe”, tanto più che, a detta di Jannuzzi, non si capisce bene chi sia il gatto e chi la volpe (perché i due si scambiano i ruoli). Letta però li loda con un aggettivo senza se e senza ma – “formidabili” – e li convoca a Palazzo Chigi sempre congiuntamente, come fossero un'entità indivisibile. Non ha tutti i torti: i due riuscivano a capirsi e a trovare una soluzione comune anche quando si conoscevano appena e si incontravano con la bandierina bianca della tregua in mezzo ai corridoi da “Shining” del ministero – lunga fuga di porte e chilometri di tappeti rossi – ai tempi in cui erano soltanto collaboratori di direttori generali e capi di gabinetto opposti nel metodo e nel settore d'influenza. La mediazione ha creato la stima, la stima ha creato l'amicizia. A questo si è aggiunto la somiglianza di stazza e il comune amore per i rigatoni “alla gricia”, piatto romano di apporto calorico importante da pronunciare con la “c” strascicata – trattasi di sugo di strutto, guanciale, olio, pecorino e peperoncino. E però oggi Blandini cerca di non mangiarla, la “gricia”, avendo perso quindici chili e avendone ripresi quattordici, e allora Nastasi la mangia in compagnia di Lino Jannuzzi, riuscendo a corrompere persino il dieteticamente corretto ministro Bondi, impietosito dalla faccia che fece Nastasi il giorno in cui Bondi ordinò al ristorante riso in bianco: “Dottor Nastasi, qualcosa non va?”, chiese Bondi. “No, è che così mi intristisco”, rispose Nastasi, a cui l'educazione aveva suggerito di imitare il ministro in quell'esangue ordinazione.
    Da quel giorno Bondi ha più difficoltà a dire no ai manicaretti di trattoria e più facilità a prendere l'aereo (di cui appunto ha il terrore).

    Sarà per l'imponenza fisica di Nastasi, rassicurante alla sola vista, sarà per la sua capacità di persuasione, definita “micidiale” da Jannuzzi, fatto sta che Bondi, dopo aver volato con qualche ansia a Mosca, è stato visto sedersi in aereo, per un Milano-Roma, con uno sguardo insolitamente sereno. Non fosse stato per la burla del ministro Ignazio La Russa, che poco prima della partenza ha apostrofato Bondi con un “caro Sandro, tranquillo, tanto sono gli ultimi tre minuti di volo i più pericolosi”, Bondi avrebbe volato senza patemi, seduto naturalmente accanto a Nastasi. E dire che Nastasi era giunto a bordo all'ultimo minuto, trafelato, al termine di una corsa sulla pista – giacca mezza scesa, scarpe slacciate e borsa da lavoro aperta – soltanto per non privare il ministro del suo compagno di viaggio preferito. Il nuovo duo Bondi-Nastasi è la prima seria minaccia all'unità del pur solido duo Nastasi-Blandini, anche se Bondi non ha ancora scritto poesie per Nastasi – ma si capisce che lo farà presto, si capisce da come guarda il suo uomo-macchina con cui, fin dal mattino, divide cruccio e sollievo: i giornali li leggono ognuno nel proprio ufficio, poi fanno insieme qualche telefonata importante, poi si separano per le rispettive riunioni, poi si ritrovano per pranzo. E Bondi, volente o nolente, ha messo su qualche chilo (che ora sta smaltendo grazie a un ritorno di fiamma per il riso in bianco).

    Finora però la coppia era sempre e solo Nastasi&Blandini: sempre insieme ai convegni, sempre insieme a cena, sempre insieme in vacanza, con moglie di Blandini e genitori di Nastasi al seguito – tanto che il figlio di Blandini, a soli sette anni, a forza di veder girare per casa Nastasi, soleva rifiutare le proibizioni paterne con un “guarda che chiamo il tuo capo, tanto lo sanno tutti che fai quello che dice lui”. E Blandini pensava: come fa ad avere il numero del ministro?, per poi scoprire che il bimbo alludeva a Nastasi, appunto. E però Blandini si è vendicato negli anni a venire, stroncando sul nascere tutte le aspiranti fidanzate di Nastasi, frequentazioni giudicate “non particolarmente adeguate né presentabili”, come dice Jannuzzi citando le parole di Blandini. Negli ultimi mesi, però, il direttore generale cinema ha taciuto, perché stavolta Nastasi ha incontrato la ragazza giusta e, dice, la vuole sposare, ed è sicuro che piacerà a sua madre e all'esigentissimo Gaetano Blandini.

    Lino Jannuzzi, oltre a far bonariamente la spia sulle frequentazioni di Nastasi, si è permesso di sgridare sia Nastasi sia Blandini quando i due si sono presentati all'apertura del Festival di Venezia con lo smoking e, ai piedi, delle improponibili scarpe da ginnastica d'oro. Vizio che viene dal passato: alla redazione del mensile Ciak ancora ricordano quando, per l'edizione festivaliera “Ciak daily”, si decise di fotografare soltanto le scarpe gemelle di Blandini e Nastasi – rosse di Prada, quella volta – per poi mettere in palio dei biglietti per il lettore che avesse indovinato. Uscì di tutto: Carlo Ripa di Meana, Johnny Depp, Vittorio Sgarbi. Non uno che assegnasse quelle strane calzature, peraltro in linea con lo sponsor (Prada, appunto), a quei burocrati così poco in linea con lo stile paludato delle burocrazie.

    Sulle scarpe Gianni Letta non si pronuncia, lasciando a Jannuzzi il compito di maestro d'eleganza. Jannuzzi borbotta ma alla fine chiude un occhio, specie in viaggio, come quando, poche settimane fa, si è recato a Cuba con Blandini per rinnovare la collaborazione tra Centro sperimentale di cinematografia e Istituto nazionale di cinema cubano – e pazienza se Blandini, nel tempo lasciato libero dagli incontri istituzionali, e dopo aver promesso di donare macchinari alle scuole di cinema danneggiate dall'ultimo uragano, fumava come un turco e beveva mojito (quello vero, con poco rum) all'hotel Nacional, con Carlo Rossella, e non riusciva proprio a farsi prendere dalla smania di tornare sui passi di Ernest Hemingway (smania che invece tormentava Jannuzzi, non placato dalla visita standard alla Bodeguita del Medio).

    E se al capo dell'ufficio legislativo del ministero, il consigliere Mario Luigi Torsello, antico maestro del duo Nastasi-Blandini agli esordi, basta dire “questi qui li ho cresciuti io” per vedere i due direttori generali alzarsi in piedi e ripetere in coro l'invocazione: “O capitano, mio capitano”, a Gianni Letta basta una parola. Letta si fida,  plaude, invia libri e biglietti. E però quei due li tiene d'occhio. Pare infatti che Nastasi capisca al volo se c'è qualcosa che non va. E' sufficiente che Letta, al telefono, dica: “Ma… con questa cosa… a che punto siamo?”. Di certo Gianni Letta non invia a Nastasi e Blandini doni burloni come la stampa fatta recapitare dal consigliere Torsello agli allora neo neodirettori generali, stampa su cui campeggiava la scritta: “Osteria ai Due Ciccioni”. E d'altronde l'osteria è spesso l'unica mondanità possibile per due ragazzi dagli incarichi multipli – ma una volta a Pechino si sono concessi una corsa in risciò, dopo la cena ufficiale, e fu un'impresa eroica di due smilzi cinesini, un pedalare frenetico per condurre in albergo quei felicissimi clienti di peso (di nome e di fatto).
    Nonostante gli anni passati da Nastasi a eliminare le consulenze care ai riottosi consigli d'amministrazione teatrali, nessuno al ministero ricorda un momento in cui l'attuale capo di Gabinetto abbia mostrato nervosismo o imbarazzo. Interpellato, Nastasi dice allegramente di non avere memoria di errori o inimicizie: “Dovunque io sia stato, mi ricordano con affetto”. Se per caso l'interlocutore resta perplesso – com'è possibile, Nastasi ha una carica che per definizione attira i nemici, come pure Blandini – l'amico Blandini conferma: “Macché, da quando è Capo di gabinetto gli schiaffoni li dà solo a me”.

    Non che Blandini si imbarazzi facilmente. Non ha fatto passi indietro di fronte ai visi inizialmente perplessi degli uomini Rai e Mediaset al momento di decidere se co-produrre “Il Divo” e “Gomorra”. Né ha esitato a parlare personalmente con Giulio Andreotti, a cui era stata data la sceneggiatura de “Il Divo”: senta dottor Blandini, diceva Andreotti con la consueta causticità, non è che può chiedere ai produttori del film di attendere qualche anno, in modo che io non sia più parte in causa vivente? E Blandini rassicurava: presidente, dalla sceneggiatura sono stati espunti gli accenni troppo personali. E poi però Andreotti, a film ultimato, si recava nella saletta di proiezione del ministero, nuova sede di via Santa Croce in Gerusalemme, e rimaneva attonito (ma meno di Gian Luigi Rondi, racconta Blandini), di fronte alla scena in cui l'Andreotti del film urla, come in un incubo, frasi machiavelliche sul fare il male per raggiungere il bene. Lo spettatore non capirà che è un sogno, diceva Andreotti a Blandini, promettendo però, nel contempo, di tornare a vedere qualche bel film lì, in quella bella sede ministeriale, in privato, senza problemi di scorta e senza dover far svuotare mezza sala per ragioni di sicurezza, motivo per cui il senatore a vita va poco al cinema.

    A leggere il curriculum di Blandini con superficialità, sembra poi che il direttore generale cinema abbia in comune con Andreotti, oltre alla prima visione de “Il Divo”, gli inizi di carriera nel settore censura: il senatore a vita fu sottosegretario alla presidenza del Consiglio con delega allo Spettacolo ai tempi del neorealismo (da cui le polemiche con Vittorio De Sica sulla necessità di “lavare i panni in casa”, frase detta da Andreotti a proposito di “Ladri di biciclette”). Blandini invece, più modestamente, agli esordi (negli anni Ottanta), si occupava di censura a livello base: vedeva film a gò-gò, per molte ore al giorno, e scriveva verbali.

    Cominciava dal basso nel senso letterale del termine, dalle salette proiezione situate nel profondo sottoscala del ministero, per poi riferire ai superiori e a Carmelo Rocca, il super direttore spettacolo che, per tanti anni, continuò a dirigere insieme cinema, musica e teatro, e fu poi accusato di cattiva gestione – e oggi gli anziani funzionari del ministero raccontano che ne soffrì molto, e però “per fortuna”, dicono, fu riabilitato poco prima della sua scomparsa, nel 2006. E forse l'esperienza di Rocca è rimasta nella memoria dei due burocrati-non burocrati Nastasi e Blandini: nessuno ti dice grazie, fa parte del gioco, dicono quasi in coro. E a vederli affiatati persino nei tempi dell'eloquio, così sereni nel definirsi complementari – “siamo il ciccione veloce e il ciccione lento” –, resistenti ai governi come e più di un consumato statista democristiano, viene da sottoscrivere la frase preferita di Salvatore Nastasi: la vita ha sempre più fantasia di noi. (nella foto di Pietro Coccia: da sinistra, il ministro della Cultura Sandro Bondi, il capo di Gabinetto Salvatore Nastasi, il portavoce Lino Jannuzzi, il direttore generale Cinema e amministratore unico di Cinecittà Gaetano Blandini)

    • Marianna Rizzini
    • Marianna Rizzini è nata e cresciuta a Roma, tra il liceo Visconti e l'Università La Sapienza, assorbendo forse i tic di entrambi gli ambienti, ma più del Visconti che della Sapienza. Per fortuna l'hanno spedita per tempo a Milano, anche se poi è tornata indietro. Lavora al Foglio dai primi anni del Millennio e scrive per lo più ritratti di personaggi politici o articoli su sinistre sinistrate, Cinque Stelle e populisti del web, ma può capitare la paginata che non ti aspetti (strani individui, perfetti sconosciuti, storie improbabili, robot, film, cartoni animati). E' nata in una famiglia pazza, ma con il senno di poi neanche tanto. Vive a Trastevere, è mamma di Tea, esce volentieri, non è un asso dei fornelli.