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Più pil per tutti / 1

Non è una rapa

Roberto Volpi

Per paradossale che possa sembrare, il problema del prodotto interno lordo (pil) non sta tanto nel pil in sé, quanto nei suoi interpreti. Vale il detto che non si può cavar sangue dalle rape. Premesso che il pil non è una rapa, una volta che si sappia cos’è, non c’è che da interpretarlo e ragionarci sopra, per quello che è. Il problema sorge quando, appunto, se ne vuole cavar fuori il sangue.

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Per paradossale che possa sembrare, il problema del prodotto interno lordo (pil) non sta tanto nel pil in sé, quanto nei suoi interpreti. Vale il detto che non si può cavar sangue dalle rape. Premesso che il pil non è una rapa, una volta che si sappia cos’è, non c’è che da interpretarlo e ragionarci sopra, per quello che è. Il problema sorge quando, appunto, se ne vuole cavar fuori il sangue.
Fuor di metafora: il pil non è un indicatore di benessere sociale, men che meno di   diffusione della felicità e del benessere individuali, non lo è neppure della qualità della vita e in genere di tutte queste cose qui. Un pil robusto, per dirla con Catalano, è preferibile a uno gracile; con ogni probabilità il primo è presupposto più efficace del secondo  sulla strada del benessere, e perfino della felicità, sociale e individuale. Ma resta il fatto che il valore del pil non ci  dice, generalmente parlando, né quanto ci è costato né come se ne avvantaggiano i diversi strati sociali né, meno ancora, cosa ne deriva in termini appunto di benessere delle nazioni e di qualità della vita degli individui.

Questo sangue dalla rapa del pil non c’è stato proprio modo, fino ad ora, di farcelo uscire. Ed ecco il problema che si pone al riguardo: è giusto vedere di farcelo uscire comunque oppure è  semmai preferibile, se proprio si vuole, andarlo a cercare da qualche altra parte? Ora, tutti coloro che sono inclini a leggere il pil – misura importante, trattandosi della “ricchezza” prodotta dal “sistema paese”, ma pur sempre settoriale – come un indicatore non soltanto generale ma addirittura riepilogativo di tutto il  “sistema paese”, si sentiranno sempre e comunque insoddisfatti di questa lettura e non finiranno mai di avvertire la sconfortante limitatezza della misura. Ma almeno in parte ciò succede, dovrebbero rendersene conto, perché chiedono troppo a chi quel troppo non può dare, vogliono il sangue dalle rape e non possono che  rimanere delusi.

Ma anche molti di coloro che pensano al pil come al pil, e che preferiscono vederci una rapa piuttosto che cercare di spremerci il sangue, anche costoro cominciano a non accontentarsi più del “solo” pil. Troppa acqua è passata sotto i ponti da che è sulla scena e i cambiamenti via via intervenuti nei criteri di calcolo non bastano certo a fare del pil qualcosa di diverso che, del resto, essi non vorrebbero neppure, pensando che una misura come quella abbia comunque una sua intrinseca e incontestabile validità. 
Ed ecco allora l’approdo di questi due modi di interpretare l’indicatore. I critici sono al lavoro per cercare di strutturare e calibrare una sorta di  “superpil” dalla cui lettura si evinca molto di più dell’attuale: oltre alla quantità di ricchezza prodotta, la qualità della vita, lo stato delle risorse, il benessere delle comunità, bazzecole del genere.

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I realisti sono convinti che se si procedesse nel senso dei critici si finirebbe per compromettere anche quella sana soddisfazione che può dare a uno stomaco vuoto il sugo di una buona rapa (per gli scettici: ci si vada a rileggere, a proposito di rape e stomaci vuoti, “La via del tabacco”, di Erskine Caldwell). Ma sono in generale questi ultimi, i realisti, a porre la questione di cercare semmai altrove cose che non possono reperirsi nel pil. Approvo, mi sembra la strada giusta. E lo dico da statistico. Un indicatore che pretenda di caricarsi di troppi significati, e per di più assai incerti da stabilire e più difficili ancora da misurare, del tipo della qualità della vita, è destinato a non funzionare e a prestarsi a fraintendimenti e difficoltà di interpretazione (un “superpil” cosa finirebbe per rispecchiare? E in quali reciproche proporzioni?). Ma il cercare altrove ha senso, e finirà per tradursi in una proposta valida, a due ben precise condizioni: (a) che questo cercare riguardi per così dire il terreno immediatamente circostante il pil (b) e funzioni non come un tutt’altro rispetto al pil, bensì come una integrazione dello stesso. Faccio un esempio. Io credo che alla efficacia dell’indicatore pil oggi manchino due elementi essenziali: la distribuzione della ricchezza prodotta e il consumo delle risorse non rinnovabili.

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Insomma, non c’è dubbio che ci sia pil e pil. Se un aumento finisce nelle mani di quanti già sono fortemente avvantaggiati dalla distribuzione della ricchezza piuttosto che in quelle di quanti avrebbero bisogno di fare un passo avanti, la sua qualità è inferiore a quella di un aumento analogo ma che si distribuisca nel senso di ridurre anziché accrescere gli squilibri esistenti. E ancora: l’aumento di un punto di pil che comporti un aumento di un punto nel consumo di risorse non rinnovabili, non sarà della stessa “pasta” di un analogo aumento prodotto consumando mezzo punto o meglio ancora un quarto di punto sul lato delle risorse. Si tratta di aspetti “vicini” al pil, oggettivamente misurabili (e già oggi del resto misurati – anche se non in questa luce), e che potrebbero essere usati per correggere il pil. Cosicché alla fine di questa operazione si avrebbe ancora il  buon pil tradizionale e in più un valore corretto del pil, meno fisico e attuale, più distributivo e con lo sguardo rivolto al futuro.

Un secondo pil che funzionerebbe da integrazione del primo, e che non avrebbe senso senza il primo. Data la diversità, nella complementarietà, dei due pil, non credo sorgerebbero difficoltà ed equivoci nel loro utilizzo così  come nelle comparazioni  temporali e spaziali. Ma, se del caso, si potrebbe sempre pensare di disciplinarne l’uso. Cosicché ancora una volta non si dovesse ricominciare daccapo a chiedere altro sangue dalla nuova rapa.

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