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I sergenti del Cav.

Lodovico Festa

L’esecutivo procede, pur tra qualche litigio, semilitigio, accordo a mezza bocca, esibizioni varie. La politica economica ha una rotta anche in tempi così tempestosi, così le iniziative su lavoro e pubblica amministrazione. In altri settori, infrastrutture ed energia, si attende qualche colpo di ala.

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L’esecutivo procede, pur tra qualche litigio, semilitigio, accordo a mezza bocca, esibizioni varie. La politica economica ha una rotta anche in tempi così tempestosi, così le iniziative su lavoro e pubblica amministrazione. In altri settori, infrastrutture ed energia, si attende qualche colpo di ala. Agli Interni e alle Riforme la guida appare solida. Tutto sommato un successo non solo in confronto al circo Barnum prodiano 2006-2008, ma anche al governo Berlusconi 2001-2006 che iniziò subito con qualche mal di pancia di troppo.

La tenuta dipende molto da ministri sperimentati, formati in diverse accademie politiche, temprati nelle più varie vicissitudini, talvolta capaci di definire strategie articolate impiantate su analisi storico-culturali. O comunque, quando meno portati per le visioni generali, forniti di efficaci capacità pragmatiche. Ce ne sono di tutti i tipi di questi “ufficiali”: dai miei preferiti ex socialisti a leghisti di valore (anche all’opposizione hanno smesso di sottovalutare i Roberto Maroni e i Roberto Calderoli), a ex missini cresciuti molto nei loro ruoli di governo, a classici democristiani dalla solida impostazione.

C’è, però, una novità interessante che sta venendo alla luce in questi mesi. Una leva di “sergenti berlusconiani” sperimentati con indubbio successo nelle prime prove di combattimento. A costoro talvolta manca un po’ di preparazione specifica, non sempre sono in grado di apprestare proposte raffinate, hanno, però, la dote di sapere procedere sotto il fuoco del nemico senza mai arretrare o dare segni di scoraggiamento. Combinando questo comportamento anche con la predisposizione alla manovra che consente loro di dialogare con l’opposizione. Si sa come in ogni esercito, alla fine, la forza fondamentale sia quella dei sottoufficiali, quella che dà il tono a tutta l’armata, che decide sulla “tenuta” del fronte.

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Questa virtù di tenacia ci pare di poterla riscontrare particolarmente nei due “sergenti” che più si sono fatti strada in questi mesi: Angelo Alfano e Mariastella Gelmini. Alfano non solo ha tenuto in una battaglia dura come quella legata al lodo a lui intitolato, coordinandosi con attenzione con la maggioranza in Parlamento e contenendo i colpi che il fronte giustizialista ha tentato di dare nella discussione politica e sui media. Il giovane Guardasigilli non solo non si è fatto intimidire, ma anche ha proceduto a costruire una trama riformista e si trova oggi di fronte a uno scenario che consente di sperare in quella grande sistemazione della Giustizia di cui c’è evidente bisogno dal 1992. Avendo il via libera da Giorgio Napolitano e Nicola Mancino, interloquendo con crescenti settori togati. E oggi grazie anche alle provvidenziali “banalità” di Gianfranco Fini e al disperato, magnifico lavoro di un Luciano Violante consapevole dei guai (a cui anche lui ha contribuito) della magistratura italiana, può  aprire un dialogo con l’opposizione.

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Di Mariastella Gelmini, il Foglio ha scritto domenica. Anche in questo caso è importante sottolineare  le virtù della “ministra”: la lealtà di ferro nel coprire i tagli voluti da Giulio Tremonti, la fermezza su principi definiti (con opportuno sfondo morale), le scelte in qualche caso limitate ma emblematiche e infine l’apertura che ha fatto dire anche alla testa d’uovo veltronians Salvatore Vassallo come con un ministro che utilizzava così ampiamente un tecnico legato al centro sinistra, Alessandro Schiesaro, non si potesse non dialogare.

Si dirà che non sono ancora strateghi, gli orizzonti su cui si muovono sono loro indicati più che autonomamente definiti. Ma tutto ciò non può mettere tra parentesi la prova del fuoco a cui sono stati sottoposti e il successo con cui l’hanno superata. Vale la pena di riflettere su come si sono formati questi nuovi quadri berlusconiani, che tra loro hanno più di un tratto comune: giovani, avvocati (con una professione autonoma alle loro spalle), nati in ambiente democristiano ma senza esperienze rilevanti nella Dc, tali da imprimere quell’attitudine alla camarilla tipica per esempio di tanti tipetti dell’Udc. La loro esperienza, però, secondo me, più formativa è che hanno svolto il loro ruolo di “segretari regionali” di Forza Italia in due luoghi fondamentali per il centrodestra, senza dubbio su delega di Silvio Berlusconi ma senza quel continuo collegamento che era tipico di uomini Mediaset (a Milano anche un po’ Edilnord) pur non privi di qualità, come per esempio Gianfranco Miccicché e tanti altri. Politici usciti freschi freschi dall’“Azienda” del leader, leali, coraggiosi, talvolta capaci ma con qualche attitudine a un tipo di comando alieno alla politica.

Alfano e la Gelmini, invece, si sono formati da uomini di partito regionale dovendo contare molto su se stessi per guidare il traffico in organizzazioni di Forza Italia ricche di personalità (in Sicilia da Renato Schifani a Enrico La Loggia, dal sindaco di Palermo a quello di Catania, a Carlo Vizzini; in Lombardia Roberto Formigoni e i suoi, il forte gruppo craxiano, la solida realtà confindustrialista con la sua particolare influenza sul comune di Milano). Oggi “i due sergenti” (ancora per poco psicologicamente sottoufficiali perché in periodi di guerra in certi zainetti c’è sempre un bastone da generale) brillano di luce propria. Ma la loro qualità è stata garantita, oltre che da indispensabili virtù personali,  dalla possibilità di partecipare in prima persona a vere e proprie lotte politiche (con tutti i necessari trabocchetti, dissimulazioni, blitz): c’è poco da fare, nessuna accademia meglio della “lotta” forma un politico.

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