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L'autunno di Epifani

Redazione

La Cgil ha mobilitato la sua organizzazione con 150 iniziative nelle piazze “contro le scelte sbagliate di politica economica, fiscale e sociale messe in atto dal governo”. Lo ha fatto in splendido isolamento, con l’obiettivo di dare una prova di forza in un momento difficile.

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La Cgil ha mobilitato la sua organizzazione con 150 iniziative nelle piazze “contro le scelte sbagliate di politica economica, fiscale e sociale messe in atto dal governo”. Lo ha fatto in splendido isolamento, con l’obiettivo di dare una prova di forza in un momento difficile, e sempre in splendido isolamento minaccia uno sciopero generale sulla scuola. Guglielmo Epifani vuole mostrare una Cgil in marcia, ma molti pensano che neanche lui sappia verso quale meta. All’indomani del voto politico aveva parlato dell’apertura di un ciclo di lungo periodo, paragonandolo all’era dc seguita alla vittoria del 18 aprile del 1948. Se non ha cambiato idea, ne dovrebbe dedurre che l’obiettivo di far deragliare il governo con iniziative di piazza, per giunta solitarie, è utopistico.

Le confederazioni possono giocare un ruolo solo se sono in grado di sostenere unitariamente proposte ragionevoli che non prestino il fianco a sospetti di strumentalizzazione politica, sulle quali realizzare anche convergenze con le rappresentanze delle imprese a sostegno di scelte di sviluppo. Lo sanno bene la Cisl e la Uil, che infatti puntano a concludere quanto prima la trattativa con Confindustria sul nuovo modello contrattuale, ma è proprio su questo terreno che la Cgil non riesce a muoversi. Forse per coprire preventivamente la sua condizione di isolamento, la Cgil rilancia l’orgoglio di grande potenza, esibendo i muscoli sulle piazze. Nella protesta può tenere insieme quello che nelle trattative si divide in modo lacerante. Basta vedere come le lodi per l’Epifani sfasciacarrozze sulla questione Alitalia venute dalla sinistra sindacale si siano trasformate in contumelie, appena l’accordo è stato sottoscritto. Epifani voleva solo dimostrare che “non si fa nulla senza la Cgil”, ma appena fa qualcosa una parte della sua organizzazione si ribella.

Anche l’arroccamento nella protesta può rappresentare una trincea difensiva, ma se questa tattica non prelude a un’iniziativa sindacale reale finisce per intaccare ancora di più la fiducia e il mandato di rappresentanza dei lavoratori. Quelli che si lamentano, e sono tanti e motivati, si aspettano risultati, anche modesti, perfino da giudicare insufficienti, ma risultati. In questa stagione di crisi un sindacato non può cercare gli applausi facili, che fioccano in una giornata di protesta e poi si disperdono. Deve portare a casa qualcosa, “pochi maledetti e subito”, e la Cgil sembra non sapere che cosa può ragionevolmente ottenere.

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