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E Rula Jebreal che dice del narcotraffico palestinese?

Andrea Mercenaro

Ci mancherebbe anche che una porcata del genere, lanciata da qualche mascalzone verso il padre, andasse a insozzare la figlia

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Ci mancherebbe pure che una figlia, accusata da qualche mascalzone per un padre che spacciava droga (poi che il fatto avvenisse 27 anni fa, o che quel disgraziato avesse abbandonato la figlia in fasce, sono entrambe questioni che, quanto al caso e contro la generosa opinione delle anime tanto belle quanto stupide, contano zero); ma ci mancherebbe anche, si diceva, che una porcata del genere, lanciata da qualche stronzo verso il padre, andasse a insozzare la figlia. Rovesciando le parti. Rula Jebreal, italiana, americana e palestinese, si sente soprattutto palestinese. Ne difende i diritti, con loro si sente a casa, ama il suo popolo e lo difende, se con intelligenza non saprei dire, ma con generosità, su questo davvero non ci piove. Chiama i palestinesi “i miei fratelli”. E si capisce. Allora. La Sicurezza antinarcotici palestinese in Cisgiordania denuncia un aumento spaventoso del narcotraffico: i sequestri di droga sono aumentati del 17 per cento ad Al Quds, del 16,4 per cento a Ramallah, l’11,2 per cento a Jenin. La colpa di questo mercato, dove non esiste possibilità di lavoro diverso, non può essere che di Israele. Lo insinuano i rapporti Onu. Usuale. Ma potrebbe essere. A Rula Jebreal si potrebbero imputare un milioncino minimo di fratellini spregiudicati. Più i cugini di Hamas e i cognati di Hezbollah, che più di un cazzo e di un barattolo potrebbero contare.

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