Edward Luttwak

La versione di Luttwak: "Renzi e Carrai non mi hanno mai chiesto di incontrare Trump"

Annalisa Chirico

L'analista americano commenta l'inchiesta Consip: "Dalle notizie in mio possesso ravviso una banale storia di millanterie con un reato fumoso, il traffico di influenze illecite"

Edward Luttwak trasmette il numero di un’utenza telefonica russa: "Mi chiami qui tra sette-minuti-sette", d’accordo. L’esperto di strategie militari è in spedizione moscovita, nel frattempo ticchetta sulla tastiera, segue la corrispondenza da Washington e risponde alle nostre domande. Partiamo dallo "scoop" del Fatto quotidiano: è vero che durante il viaggio californiano Marco Carrai e Matteo Renzi si sarebbero rivolti a lei per incontrare Donald Trump? "Ho letto la fantasiosa ricostruzione del giornale, se ogni notizia da esso riportata ha la medesima attendibilità suggerirei di risparmiare i soldi per l’acquisto. Non sono stato contattato né prima né durante il viaggio, né dal signor Carrai né dall’ex premier. Se i due hanno tentato di raggiungere il presidente degli Stati uniti, non sono passati da me".

 

Renzi ha smentito. "Era già segretario dimissionario, a che titolo avrebbe potuto incontrare il capo di stato Usa?". Insomma, nessuno scoop. Luttwak è un attento osservatore di cose italiane, sin dai tempi di Tangentopoli quando l’analista rumeno naturalizzato statunitense coordinava il progetto "New Italy" per conto dell’amministrazione a stelle e strisce. "Il rapporto tra giustizia e politica è un antico grattacapo nel vostro paese. Agli inizi degli anni Novanta Mani pulite usò metodi bruschi, ai limiti della legge, per combattere la corruzione dilagante nella classe politica. Questa esperienza, per certi versi traumatica, ha generato uno squilibrio tra i poteri con un esecutivo debole e una magistratura strapotente. La politica si è spogliata di prerogative e immunità, la magistratura ha esteso il proprio raggio d’azione. Il risultato è una democrazia malata".

 

La diagnosi è lapidaria e in questi giorni il monito di Luttwak suona perfino sinistro. "Il filone politico del Consip-gate mi sembra fragile. Quale sarebbe la smoking gun? C’è un manager che accusa e un ministro che respinge le accuse. Si tira in ballo il padre dell’ex premier, un escamotage impiegato in diverse democrature latinoamericane: quando si vuole delegittimare un politico si coinvolge pretestuosamente un familiare. Dalle notizie in mio possesso ravviso una banale storia di millanterie con un reato, il traffico di influenze illecite, che è una formidabile invenzione per criminalizzare sistemi di relazioni, connessioni tra le persone, in assenza di condotte contra legem. Il traffico di influenze è una fattispecie fumosa, non tipizzata e priva di specificità, che accresce a dismisura la discrezionalità del magistrato".

 

L’ad Consip Marroni si è sottratto al colloquio con l’avvocato di Tiziano Renzi. Stando ai verbali dell’interrogatorio con il pm partenopeo Woodcock, Marroni non parla mai di Romeo, colloca gli ultimi incontri con il "babbo" a marzo 2016, riferisce di "minacce e pressioni" per le quali non sporge denuncia. "I dettagli non mi appassionano – prosegue Luttwak – io mi concentro sull’analisi generale: Renzi ha mancato la riforma della giustizia, si è limitato a interventi spot senza il coraggio di affondare la lama. La conseguenza è che lo squilibrio perdura, la maggior parte dei magistrati lavora con serietà ma alcuni, dai nomi ben noti, conducono inchieste per desiderio di protagonismo e ambizione personale. Siete l’unico paese dove due togati (Di Pietro e Ingroia, ndr) hanno fondato un partito politico".

 

In America i magistrati sono eletti, da noi vincono un concorso e, se si "annoiano" in ufficio, possono scegliere il collocamento in aspettativa, entrare in Parlamento e candidarsi alla segreteria di un partito. "Le porte girevoli sono un fattore inquinante che lede l’indipendenza della magistratura. Non c’è da stupirsi per il Consip-gate: l’idea di una strumentalità politica connessa all’esercizio dell’azione giudiziaria è accettata nell’opinione comune. Ho operato in decine di paesi ma solo in Italia il mio nome è finito sui giornali per intercettazioni telefoniche nell’ambito di un’inchiesta in cui non ero neppure indagato. E trattando informazioni riservate in collaborazione con il Sismi dell’epoca lei può immaginare il danno recato ad alcune operazioni anti-terrorismo. La verità è che esiste un vasto clima d’impunità testimoniato dalla disinvoltura con cui certi giornali violano quotidianamente il segreto istruttorio. Nel paese dove l’azione penale è obbligatoria nessun magistrato apre un fascicolo".

 

Adesso c’è un indagato per rivelazione del segreto, il ministro Lotti. "Peccato che contro di lui ci sia soltanto la parola del suo accusatore. In America i responsabili di leak rischiano vent’anni per ostruzione alla giustizia, reato grave che intralcia l’attività giudiziaria. La testata giornalistica chiuderebbe i battenti, i cronisti sarebbero licenziati in tronco". Esiste una connivenza tra certi uffici giudiziari e certi giornalisti. "È conseguenza dell’impunità: si delinque perché nessuno paga. Si attendono dieci anni per una sentenza. E i politici s’illudono di poter chiacchierare al telefono. Credo che in Italia siano effettuate più intercettazioni che in Russia e Cina messe insieme". È la logica del controllo di legalità. "La magistratura dovrebbe agire in presenza di una notitia criminis, non per controllare ogni nostra singola azione. La polizia non è più in grado di svolgere indagini à la Sherlock Holmes, la metodica si è invertita: si dispongono intercettazioni a strascico in un dato gruppo sociale e poi si ricostruisce la rete delle relazioni interpersonali al fine di scovare il dettaglio, la parolina, il sospetto per redigere un capo d’imputazione. C’è sempre un nuovo reato alla bisogna". Un Grande fratello legalizzato. "Lo chiami come vuole, siete tutti sotto ricatto. Saluti".