Il Tokaji di Orbán

Edoardo Narduzzi

Per gli antichi romani era la Pannonia, una difficile regione di confine

Per gli antichi romani era la Pannonia, una difficile regione di confine. Le legioni dovevano essere stanziali perché le grandi pianure rendevano difficile la difesa dell’Impero. Inevitabile, quindi, la piantagione e la coltivazione della vitis vinifera per allietare le lunghe giornate di presidio delle frontiere. Da tempo il vino fa parte della cultura ungherese. Vini dolci e bianchi, soprattutto, come il Tokaji, favoriti nella coltivazione e nella maturazione da alcuni microclimi particolari per l’umidità offerta dal grande lago Balaton e la protezione garantita dai monti Carpazi. L’Ungheria è anche una terra di fini intellettuali, di grandi matematici e di politici dal forte carattere. Come Victor Orbán, oggi Premier ma già un cavallo di razza nella politica giovanile universitaria quando a Budapest governavano ancora i comunisti. Ad Orbán i teatrini perditempo della democrazia non piacciono e ha indicato nelle democrazie oligarchiche il suo modello di riferimento. Alleato fedele di Vladimir Putin ha appena subìto la prima vera sconfitta elettorale: persa l’elezione suppletiva di Veszprém e la maggioranza dei due terzi dei voti in Parlamento per poter approvare da solo le riforme costituzionali. Sicuramente Orban si consolerà con una bottiglia di Tokaji Essencia 2003 della Royal Tokaji Wine Company, uno dei vini iconici del terroir magiaro. Una cassa di sei mezze bottiglie può raggiungere la quotazione record di 3.982 euro, mentre è normale pagare una singola bottiglia sui trecento euro. Il punteggio di 98/100 assegnato dal Wine Advocate a questa etichetta costituisce la giusta conferma cognitiva ricercata dal consumatore prima di metter mano al suo portafoglio.

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