Elaborazione grafica di Enrico Cicchetti

Una fogliata di libri

Se tutto è vanità, a che scopo sperare, aspettare, gioire, disperare?

Michele Silenzi

Nel libro di Giuseppe Berto ripubblicato da Edizioni Settecolori la vita assomiglia più a un campo di battaglia che a una valle di lacrime. L'esibizionismo fra psicoanalisi e critica di costume

Edizioni Settecolori ha rimandato in libreria, dopo un lungo oblio, l’“Elogio della vanità” di Giuseppe Berto. E’ inutile dire che sia un gioiello, meglio quindi affondare subito i denti nella carne testuale che se da un lato si apre con la solita ascetica citazione di Ecclesiaste (vanitas vanitatum et omnia vanitas) dall’altro è subito ingrassata dalla fieristica ironia di Thackery “sì, d’accordo, tutto è vanità: ma chi confesserà di non volerne una fetta?”. E basta questo inizio per dare la dimensione dell’intero pamphlet in bilico tra critica di costume, realistico disincanto, ironia e psicoanalisi (l’unica parte un po’ ammuffita del testo). 

 

Secondo Berto, da sempre ci troviamo lì a spingerci e a lottare per la conquista della nostra fetta di vanità in una vita che non è da considerarsi come una valle di lacrime quanto piuttosto come un campo di battaglia in cui già molti hanno avuto la sfortuna di nascere dal lato sbagliato del mondo (alternativamente o unitamente brutti, deboli, plebei, poveri) e quindi non è il caso di aggiungervi anche la rinuncia o l’appagamento meglio quindi mettersi “di buona lena a correggere gli errori del cielo e della terra con tutte le nostre forze e quindi anche con l’esibizionismo usato in giusta misura”. Perché per Berto la vanità è essenzialmente esibizionismo ma poi anche narcisismo mentre solo una trascurabile parte si manifesta come fatuità.

 

Sebbene i confini tra i due siano labili, l’esibizionismo è principalmente rivolto all’esterno mentre il narcisismo è più che altro autoriferito (“invero il mondo è pieno di attori che recitano davanti allo specchio in camera loro”). L’esibizionismo è addirittura fondamentale per l’homo faber tanto che “un uomo totalmente privo di esso dovremmo immaginarlo pressoché cadavere”, incapace di qualsiasi raggiungimento in qualsiasi campo: dall’industria all’arte, dalla carriera ecclesiastica a quella politica e su su fino a santi ed anacoreti e stiliti che però Berto non ha tanto in simpatia perché l’esibizionismo e la ricerca del successo funzionano meglio quando si legano a fini di un qualche lucro: in quel modo, infatti, diventano “ruota indispensabile per il progresso culturale ed economico”. 

 

L’esibizionismo sembra poi non tanto diverso da una forma vanitosa del caro “desiderio di riconoscimento”, del voler essere “creato” dallo sguardo degli altri, quegli stessi altri che il vecchio Sartre considerava l’inferno. Gli altri: inferno e paradiso, immagine mobile del campo di battaglia che è la vita. Gli altri, i cui sguardi sono terribili ma allo stesso tempo sublime sale della vita, e il loro riconoscimento è motore inesauribile dei nostri sforzi. E questo rapporto così tremendamente dinamico con gli altri è ciò che ci spinge, “invece di affogare nei troppi vizi come forse sarebbe giusto…, ad intraprendere il nostro faticoso viaggio nella vanità” che si nutre a sua volta proprio della sublimazione delle nostre pulsioni

 

Non che per Berto l’esibizionismo fosse proprio tutto latte e miele visto che può ad esempio portare fuori strada e impedire lo sviluppo del vero talento di una persona, e così magari quelli che potenzialmente sarebbero stati dei magnifici idraulici o falegnami pretendono di essere poeti e finiscono per essere inappagati e repressi per la loro modestia. Oppure, quando l’esibizionismo diventa extraproporzionale, può succedere che magari un poeta si trasformi in un “cialtrone di genio” e qui viene ritratto cattivissimamente, ma senza nominarlo, Pasolini come “ondeggiando spericolatamente da Cristo a Marx ovunque bene accolto per l’alto valore propagandistico della sua presenza”, schizzando anche i tratti di un piccino mondo culturale in tutto simile all’attuale, ma il nostro è più modesto. Ci sarebbe altro da dire ma basterà aggiungere: viva l’esibizionismo, viva la vanità (ma con giudizio).

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