Dopo l'esilio

Enrico Paventi

La recensione del libro di Georges-Arthur Goldschmidt, Giuntina, 79 pp., 14 euro

Chi è stato spinto una volta all’esilio non vi sfugge più per il resto della vita”. Così il traduttore, saggista e romanziere Georges-Arthur Goldschmidt (1928) sintetizza la condizione dell’esule della quale egli ha fatto esperienza da bambino quando, a causa della legislazione antisemita voluta dal regime nazista, fu costretto a lasciare la Germania insieme al fratello maggiore Erich. 

 
Malgrado la propria famiglia – di origine ebraica – si fosse convertita al protestantesimo fin dal Diciannovesimo secolo, i suoi membri non sarebbero stati affatto al riparo dalla persecuzione hitleriana. I genitori cercarono pertanto di mettere al sicuro i due figli prima in Italia; poi, a seguito dell’approvazione delle leggi razziali, li trasferirono in Francia dove questi ultimi riusciranno a scampare alla Shoah grazie ad alcune famiglie di contadini della Savoia che li nascosero fino al termine del conflitto: i due poterono dunque contare su una solidarietà diffusa e, talvolta, inaspettata.

 
Felicemente narrato in terza persona e spesso in forma impersonale, Dopo l’esilio costituisce un testo dalla prosa densa a avvincente in cui è centrale il rapporto tanto con la propria lingua madre quanto con quella acquisita: la prima diventa un idioma vietato, segreto, da serbare per sé in quanto la sua espressione, in un paese straniero, non sarebbe stata consentita. Ciò in quanto, scrive l’autore, era diventata “una lingua di guerra, una lingua dei divieti, una lingua che minacciava di morte.” La seconda è invece quella che, a poco a poco, si sovrapporrà al tedesco fin nei minimi dettagli per diventare ben presto la vera lingua del corpo e dell’anima. E’ interessante notare come Goldschmidt ponga in rilievo le tante caratteristiche delle tre lingue: peculiarità che gli hanno imposto di superare un gran numero di ostacoli ma dalle quali è rimasto continuamente affascinato poiché, insieme ai vari idiomi, egli ha appreso una storia, un insieme di eventi e tradizioni, una forma mentis, una vera e propria cultura.

 
Assai suggestive risultano inoltre le pagine dedicati ai paesi nei quali ha transitato ed è poi rimasto: spiccano al riguardo le differenze con la Germania dell’epoca, gravata da un senso di oppressione e morte, un peso che tendeva a comprimere tutto: l’Italia gli appare simboleggiata, invece, da una lingua scorrevole, musicale, tranquilla che – malgrado Mussolini e i balilla – poco sembrava prestarsi alle urla mentre le sue parole “si potevano gustare e far rotolare in bocca”. 

  

Dopo l’esilio
Georges-Arthur Goldschmidt
Giuntina, 79 pp., 14 euro