Isole dell'abbandono

Francesco Musolino

La recensione del libro di Cal Flyn, Blu Atlantide, 368 pp., 19,50 euro

Cosa accadrà al pianeta Terra quando ci saremo estinti? Ne abbiamo avuto uno scorcio durante il lockdown, con i fili d’erba che facevano capolino fra i sampietrini e un silenzio irreale nelle vie principali delle nostre città. Ma lì dove non arriva la fantasia degli autori distopici, subentra la realtà con una schiettezza che può tingersi di bellezza straziante. 

 

Con Isole dell’abbandono. Vita nel paesaggio post-umano (Blu Atlantide, tradotto con cura da Ilaria Oddenino), la scrittrice e giornalista scozzese Cal Flyn firma un visionario reportage, conducendoci in dodici luoghi sparsi, anzi, dispersi per il mondo. Saranno emblematici del concetto portante del volume, ovvero il processo di abbandono dell’uomo e la riconquista della natura.

 

Un ventaglio di sguardi che dimostra come la natura sia sempre pronta, all’erta, in attesa di riprendersi il dominio di ogni cosa e ristabilire la gerarchia, resettando ciò che ci circonda. Il viaggio di Flyn si tramuta in un diario emotivo, narrando due luoghi emblematici come la zona demilitarizzata di Cipro e Chernobyl – drammaticamente tornata al centro della cronaca di guerra, senza mai perdere quel suo morboso fattore attrattivo – per poi dedicare pagine al giardino botanico coloniale di Amani e alle distese inquinate che circondano Paterson, in New Jersey, emblema autodistruttivo dell’uomo che avvelena il proprio habitat inseguendo il progresso.

 

Flyn è stata apertamente elogiata da Jeff VanderMeer – capofila del genere narrativo new weird – anche per la sua capacità di discostarsi dalla narrazione apocalittica in voga in questo frangente e salvo alcuni casi – ad esempio, nelle martoriate pianure di Verdun, fra i fiumi inquinati che corrono lungo l’America o raccontando le regioni minerarie della Scozia – l’autrice non cerca capri espiatori, semmai, portandoci in questi luoghi speciali e desolati, riesce con le parole a farne affiorare una bellezza sopita, quieta, insperata, lasciando vagare il proprio sguardo su una natura ridestata e pronta a dominare tutto, soverchiando gli errori dell’umanità. Isole dell’abbandono “non è un libro cupo, una litania di tutti i posti peggiori del mondo. Invece, è una storia di redenzione”, tanto da rivelarsi un inno alla vita e al contempo un memento di ciò che avverrà, inevitabilmente, un domani, quando la specie umana sarà solo un ricordo, un battito di ciglia nella storia della Terra. 

 

Isole dell’abbandono
Cal Flyn
Blu Atlantide, 368 pp., 19,50 euro

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