una fogliata di libri

Chiudere gli occhi e guardare

Roberto Persico

La recensione del libro di Elena Bono, Edizioni Ares, 192 pp., 15 euro

Quando, negli anni Cinquanta, compaiono i primi testi di Elena Bono, la critica del tempo – Emilio Cecchi e Mario Praz su tutti – la additano all’ammirazione dei lettori. I suoi libri sono pubblicati da Garzanti, Pasolini vorrebbe farne un film. Poi, nel tempo, sull’opera dell’autrice cala il silenzio. Troppo cristiana, troppo cattolica, per la cultura laicista e sinistrorsa che prende il sopravvento; troppo terrigna, troppo realista, forse, per i cristiani che pur dovrebbero sbandierarla.

E così, a pubblicarne l’opera rimane una piccola casa editrice di Recco, e a sostenerla e diffonderla uno sparuto – per quanto qualificato – manipolo di fedelissimi.
Per capire l’originalità della sua posizione, per i molti che probabilmente non l’hanno sentita nominare se non di striscio, vale la pensa richiamare l’essenziale della sua vita. Nata in provincia di Latina nel 1921, figlia di un professore di greco e latino che sarà il suo primo, discreto maestro, Elena cresce a Recanati, dove respira l’aria di Leopardi e se ne innamora. Nel 1931 il trasferimento a Chiavari e qui, negli anni della guerra, l’episodio decisivo della sua vita: sfollata sull’Appennino, entra in contatto con la resistenza ligure, a cui partecipa intensamente, come staffetta e come informatrice.

E questa esperienza resterà al cuore di tanta sua produzione, come nella drammatica Sulla tomba di un amico morto per la libertà:
“Gole squarciate dal gancio, / illividite dalla corda, / mani crocifisse / carni che mentre fiorivate / conosceste la morte più dura a morire, / ogni uomo umano vi dovrà invidiare. / Troppo bello ubbidire a una legge / che non fu mai scritta, / morire secondo il proprio cuore”.
Un cuore che è, sempre, desiderio di tutto: “Vivere umanamente tra gli umani, / soffrirne tutte le pene / più una / nostalgia / nostalgia di Dio”.

Nell’opera poetica di Elena Bono, che ha accompagnato la sua intera esistenza, dagli anni giovanili alla vigilia della morte nel 2014, c’è naturalmente molto altro, dallo stupore per una realtà che è sempre segno di un mistero (“Reca il tempo la notte / e con la notte / una più bianca chiarità / che le cose rivela, / e reca la morte / e con la morte / quel che mai non muore / e di tutto ci ricompensa / e acqueta e persuade”) agli echi della lirica orientale di cui era lettrice appassionata.

L’antologia che Ares manda in libreria per il centenario della nascita – “cento poesie per cento anni”, come recita il sottotitolo – è un’occasione per riscoprire un gigante dimenticato.

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