Tieniti stretto il cappello, potremmo arrivare molto lontano

Giulio Silvano

La recensione del libro di Kurt Vonnegut, Bompiani, 557 pp., 20 euro

Nella letteratura di Kurt Vonnegut ci sono due elementi fondativi: aver partecipato alla Seconda guerra mondiale e l’esser stato uno sfigato in gioventù. Il primo elemento è sempre piuttosto palese nelle atmosfere, nelle dinamiche narrative e nello spirito polemico-satirico, sia in modo diretto – come in Mattatoio n. 5 – che in modo più o meno velato, come ad esempio nelle opere di fantascienza (Le sirene di Titano, La società della camicia stregata…). Il secondo elemento, invece, è più un qualcosa che aleggia, ma che è difficile afferrare con consapevolezza fino a che non si leggono le lettere dello scrittore, editate da Dan Wakefield e, in questa edizione italiana, da Vincenzo Mantovani, con traduzione di Andrea Asioli – non un compito facile tradurre quella lingua parlata, ironica.
 
Si parla di “sfigataggine” in chiave americana, da film ambientato in una high-school del Midwest scritto da John Hughes – cioè sopruso dei più forti (fisico, atletico, psicologico) sui più deboli. Il nerd, il secchione, il rachitico, l’occhialuto, il basso, il grasso, il brufoloso, il timido eccetera, diventano vittime dei belloni giocatori di football, dei prof. di ginnastica un po’ eugenetisti e di parenti e maestri bacchettoni. Il successo commerciale, e poi quello successivo di critica, sembrerebbe diventare per Vonnegut, nella più automatica dinamica psicologica, un riscatto verso quegli insegnanti che non lo apprezzavano, verso quei trogloditi muscolosi che lo chiudevano nell’armadietto o che lo prendevano in giro perché era di famiglia crucca, in un momento in cui in America c’era un violento sentimento antitedesco. 
“Sono diventato una specie di vip”, scrive in una lettera del 1971, “a volte la gente mi riconosce, e ricevo molti inviti a parlare a destra e a manca. Li declino quasi tutti”. Non sembra crederci nemmeno lui, dal ’69 con l’uscita di Slaughterhouse-Five è stato catapultato nell’olimpo dei bestselleristi viventi. “Sono il primo scrittore di fantascienza ad aver avuto un libro finalista al National Book Award”, scrive al direttore di Newsweek, piccato per un articolo contro di lui. Le lettere, oltre a quelle tenere con vecchi amici da cui escono aneddoti tipici del suo immaginario, vengono spedite a personaggi come Norman Mailer, Jack Nicholson, e Bernard Malamud, a cui chiede suggerimenti per il suo corso ad Harvard: “Ti sono grato per il consiglio di non farli leggere troppo – che già leggono troppo. Bene".

 

Tieniti stretto il cappello, potremmo arrivare molto lontano

Kurt Vonnegut

Bompiani, 557 pp., 20 euro 

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