Una fogliata di libri

Casa di giorno, casa di notte

Edoardo Rialti

La recensione del libro di Olga Tokarczuk, Bompiani, 351 pp., 15 euro

"Guardo senza scoprire nulla di nuovo e senza dimenticare ciò che ho visto". Una donna che abita in un piccolo paese della Slesia, uno spazio che fu polacco, tedesco, cecoslovacco, giace e ricorda storie vicine e lontane, amori e separazioni, i passaggi stabili e incerti delle stagioni, come una piccola candela che non si sa ancora accesa oppure no, nel buio. Nel ricevere il Nobel, Olga Tokarczuck attribuì proprio a quello spazio flebile la natura della propria vocazione: “E anche se dovessi dire: ‘Mi sono persa’, starei ancora iniziando con le parole ‘Io sono’ – la sequenza più importante e più strana del mondo”.

 

Si avvicendano così “il Tal dei Tali… che ogni sera raccontava l’inverno, perché l’inverno va raccontato, se si vuole che arrivi l’estate”, ubriachi con uccelli ingabbiati nel petto, “una cicogna nera, ma aveva le zampe rosse impastoiate e le ali lacere”, vecchie ricette che spaventano i conoscenti in visita dalla città: “All’ultimo momento chiesero che funghi fossero, e quando glielo dissi si rifiutarono di mangiarli. Come se mangiare o non mangiare qualcosa potesse salvarci dalla morte. Si muore indipendentemente dal fatto che si mangi questo o quello, che si faccia questo o quello, che si pensi questo o quello. Sembrerebbe quasi più naturale morire che vivere”. Lungo i confini migrano gli uccelli, transitano le volpi, attraverso bordi e ricordi che sono tutti labili, fluttuanti, in cui tremola la fiamma di ogni singolo io.

 

Nei viaggi alla fine ci si imbatte sempre in sé stessi, come se fosse questa la loro meta. A casa propria ci si limita a esistere, non bisogna lottare con nulla né conquistare nulla. Non bisogna controllare le coincidenze ferroviarie, gli orari dei treni, non c’è bisogno di entusiasmi e disillusioni. Ci si può mettere da parte, ed è allora che si vedono più cose”. Anche in questo nuovo filo del suo arazzo narrativo, in questa ennesima finestra del suo microcosmo, la scrittura di Tokarczuck fa respirare in virtù d’uno sguardo che supera la somma dei singoli dettagli e li abbraccia tutti, perché ci immette nel flusso dei nostri stessi rapporti, ovunque ci troviamo, qualunque sia la nostra condizione. Riespone a ciò che lei definì “la grande costellazione… la consapevole, anche se forse un po’ malinconica, condivisione del destino comune”. Frequenze radio che intrecciano le esistenze di uomini e donne, piante, animali. E in fondo, poco importa se la candela è accesa. La singola radio si spegne, il segnale continua.

 

Olga Tokarczuk
Casa di giorno, casa di notte
Bompiani, 351 pp., 15 euro

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