Un uomo inutile

Andrea Frateff-Gianni

La recensione del libro di Sait Faik Abasiyanik, Adelphi, 263 pp., 19 euro

"Il mondo è bello malgrado tutto” scriveva Charles Baudelaire. Sembrava pensarla così anche Sait Faik Abasyanik, detto il “Checov turco”, autore prodigioso, praticamente sconosciuto in Italia e riscoperto da Adelphi, che lo ha recentemente portato in libreria con un volume di racconti intitolato Un uomo inutile. Racconti che viaggiano nel sottosuolo, tra i cortili più miserabili, le taverne più sudicie e i bordelli più malfamati di una Istanbul notturna, spettrale, disagiata. Una città complessa e cosmopolita, popolata da una serie di antieroi, emarginati e sognatori, sconosciuti perfino a se stessi. Personaggi improbabili, immersi nel languore del paesaggio in cui vivono, come pesci in un acquario; che si trascinano senza meta, da un bar all’altro, con lo sguardo vacuo, spesso alterato dall’alcol. Scrittori, perdigiorno, bambini malati di rogna, prostitute, lestofanti, vagabondi e lustrascarpe ci accompagneranno per le strade e i quartieri di una città tentacolare, simile a un infernale girone dantesco. Sono falegnami armeni, commercianti ebrei, pescatori greci i protagonisti dei racconti di Sait Faik, autore che sa trarre il molto dal niente e che, attraverso una narrazione frammentata, dissestata e priva di trama, è capace di sedurre il lettore, trascinandolo vorticosamente nelle zone d’ombra dell’esistenza, dove spesso le cose si fanno più chiare. Zone d’ombra frequentate in vita dallo stesso Sait Faik, flâneur impenitente, di famiglia borghese, morto di cirrosi dopo quarantotto anni trascorsi a “osservare il mondo con meraviglia” seguendo una linea quasi pasoliniana nella scelta della propria discesa tra i corpi e i volti degli uomini dannati che ha raccontato nelle sue storie. “Sarei pazzo se non scrivessi”, diceva di sé e nell’incipit del racconto intitolato “I miei vent’anni da scrittore” aggiungeva: “Se si potesse valutare sé stessi in totale onestà, sincerità, lealtà, quante persone rimarrebbero nel campo della letteratura e del giornalismo? Bene o male, io sono vent’anni che scrivo. Non credo agli apprezzamenti e agli elogi, né mi preoccupo troppo degli attacchi e delle critiche. E, per quanto mi riguarda, nella professione di scrittore non è importante se i risultati letterari non sono poi così buoni, di alto livello. Basta essere onesti, non svendere la nostra penna né al governo né al padrone, e nemmeno alla gente, agli altri”. Una lettura matta e disperata, che toglie il fiato, da non perdere assolutamente.

   

Un uomo inutile
Sait Faik Abasiyanik
Adelphi, 263 pp., 19 euro

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