Appunti sulla soppressione dei partiti politici

Maurizio Schoepflin

La recensione del libro di Simone Weil, Marietti 1820, 70 pp., 7 euro

Donna di rara intelligenza, dotata di un carattere improntato a un’assoluta intransigenza etica e a una bruciante partecipazione alle sofferenze del prossimo, l’ebrea francese Simone Weil (1909-1943) si presenta come una figura poliedrica, i cui interessi spaziano dalla filosofia alla religione, dalla mistica all’estetica alla politica. Proprio all’ambito del pensiero politico appartiene questo breve scritto, da lei redatto poco prima di morire in un sanatorio inglese consumata dalla tisi e dalle privazioni.

 

Pubblicato postumo, venne tradotto in italiano nel 1951, per la rivista “Comunità” di Adriano Olivetti, da Franco Ferrarrotti, che ha redatto anche l’Introduzione che arricchisce questa nuova edizione. Le valutazioni della Weil appaiono immediatamente trancianti: “Un partito politico – ella afferma – è una macchina per fabbricare passione collettiva … è un’ organizzazione costituita in modo da esercitare un’ oppressione collettiva sul pensiero di ciascuno degli esseri umani che ne sono membri… L’unico scopo di ogni partito politico è il suo potenziamento e ciò senza alcun limite”.

 

Di qui la Weil fa discendere una conclusione che non ammette repliche: “Ogni partito è totalitario in germe e come aspirazione”. Per tale motivo i partiti fanno largo uso della propaganda, che mira soltanto all’indottrinamento, il quale, ben lungi dall’essere opera di autentica educazione, conduce alla menzogna che, poi, viene imposta come verità da perseguire. Secondo la filosofa francese, colui che appartiene a un partito non potrà mai cercare spassionatamente il bene comune e la giustizia, ma sarà sempre schiavo dell’interesse della parte che deve rappresentare, pena l’accusa di tradimento. Scrive la Weil: “E’ impossibile esaminare i problemi spaventosamente complessi della vita pubblica badando contemporaneamente da una parte a discernere la verità dall’altra a conservare l’atteggiamento che conviene al membro di un raggruppamento”.

 

Sarà addirittura preferibile tradire la verità piuttosto che il proprio partito. Il dominio dei partiti, dunque, non permette la ricerca e l’individuazione del bene e della giustizia: essi – la Weil non esita a scriverlo – sono strumenti diabolici, “cattivi nel loro principio, e cattivi sono i loro effetti pratici”. In ultima analisi, chi aderisce a un partito non può pensare liberamente; e questa è una specie di “lebbra” che si diffonde sempre di più e che potremo guarire soltanto con una medicina radicale: “La soppressione dei partiti politici”. 

    

Appunti sulla soppressione dei partiti politici
Simone Weil
Marietti 1820, 70 pp., 7 euro