Una fogliata di libri

Proprietà

Gaia Montanaro

La recensione del libro di Lionel Shriver, 66thand2nd, 335 pp., 18 euro

"Un libro non è uno specchio, è una porta” dice Fren Lebowitz a Martin Scorsese in “Pretend it’s a city”.  Attraverso le porte raffigurate sulla copertina di Proprietà di Lionel Shriver si entra nelle case – e quindi nelle vite – di dodici personaggi, che nei contesti più diversi abitano e che hanno tutti una relazione particolare con il possesso. E’ questo infatti il tema che unisce i racconti tragicomici contenuti in questa raccolta, in cui si indaga il valore che gli oggetti hanno, lo spazio che occupano nella vita di ciascuno e che cosa farsene dello spazio vuoto che lasciano quando non ci sono più. “Quanto influisce la proprietà sul carattere? Se possiedi qualcosa, che effetto ha su di te?”.

  

Gli effetti a volte possono essere mastodontici come per il lampadario da terra che prima unisce e poi per sempre divide il rapporto tra Jillian e Weston, compagni di tennis da una vita, amanti prima, amici poi. Lei malvista per la sua eccentricità e il carattere forte, dal “fascino deperibile” e con una personalità magnetica; lui più ordinario e in perfetto bilanciamento con le caratteristiche di lei. L’equilibrio viene messo in crisi quando Jillian regala all’amico un lampadario per una ricorrenza speciale: sopra ci sono letteralmente attaccati pezzi della loro vita insieme (scatoline, chiavi, persino un dente del giudizio). Tanto basta per incrinare per sempre i rapporti – “l’orgoglio in termini generali è un costrutto sociale perché ha bisogno di un pubblico” – messi in discussione da un oggetto che è ben più di quello che appare.

  

“Tutti e tre continuavano a fare finta che il lampadario fosse un simbolo, mentre in realtà era diventato un oggetto. Frisk voleva l’oggetto. Weston voleva l’oggetto. Per quanto inverosimile, persino Page voleva l’oggetto. Un oggetto il cui possesso, come per la maggior parte dei beni, fosse totale”. Della stessa pasta – totalitaria e risoluta – è fatto il possesso che lega Sara Moseley, giornalista americana trapiantata a Belfast, e la casa che è costretta a subaffittare. La ragazza che “non era taccagna a livelli patologici ma ricordava benissimo chi aveva pagato la volta prima la cena e l’importo esatto” subisce come pena di contrappasso di dover condividere il suo appartamento con una coinquilina molto sportiva nella gestione degli spazi e degli oggetti comuni. 

 
L’ironia sottile e tagliente attraversa i loro scambi e battibecchi, tratto distintivo di tutti i racconti della Shriver che alterna profondità e leggerezza. E che fa riflettere su quanto l’immagine che abbiamo di noi stessi dipenda anche da ciò che (realmente) possediamo. 


 

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