Tamarisk Row

Giuseppe Fantasia

La recensione del libro di Gerald Murnane, Safarà, 307 pp., 19,50 euro

 

Leggere narrativa non serve a conoscere meglio quel posto che viene comunemente definito “mondo reale”, ma a rendere accessibile un nuovo spazio in cui una versione di noi può essere libera di spostarsi tra luoghi e personaggi che si distinguono per i sentimenti che suscitano, più che per l’aspetto esteriore. Lo sostiene e lo scrive Gerald Murnane in questo libro che fu il suo primo romanzo, pubblicato nel 1974 quando aveva 35 anni e ora anche in Italia nella traduzione di Roberto Serrai per Safarà Editore, piccola ma interessante casa editrice friulana. L’autore, oggi ottantaduenne, non ha mai voluto lasciare la sua Australia, ma ha viaggiato e ci ha fatto viaggiare con la mente con i suoi libri, a cominciare da quello più conosciuto, Le pianure, in cui un giovane cineasta creava una sua epica attraverso l’esperienza straniante di quei luoghi sconfinati, un mondo a sé necessario e utile per conoscere, sperimentare, deludersi e – perché no? – persino amare. I suoi protagonisti sono sempre dei sognatori a occhi aperti che decidono di isolarsi dalla realtà circostante più che per vivere, per sopravvivere in un mondo in cui si riconoscono solo in parte, tra difetti, solitudini e stati d’animo altalenanti e incomprensibili da ragazzini di quell’età. Sì, perché Clement Killeaton, protagonista di Tamarisk Row, di anni ne ha nove e della vita sa poco o nulla. Vive con i genitori in una polverosa cittadina di nome Bassett sul finire degli anni Quaranta ed è lì, sul retro del cortile della sua casa, sotto le tamerici “che sopportano il caldo più feroce e i terreni desertici più aridi”, che decide di costruire l’ippodromo che dà il titolo al romanzo e che esiste solo nella sua immaginazione. Un posto unico che ogni bambino ha pensato o desiderato almeno una volta, una “stanza tutta per sé” dove stare in pace e in totale libertà, magari lontano dalle prepotenze dei bulli della scuola o dalle rigide regole delle suore. “E’ più facile conoscere i segreti del bush australiano che i misteri della religione cattolica”, farà dire l’autore a Clement in uno dei capitoli del libro costruito come un diario. Alcuni di quei misteri, come quelli legati alle ragazze o ai suoi vicini che girano per casa nudi, li scoprirà solo nel tempo, mentre altri rimarranno tali perché dimenticati in fretta. Con i suoi pensieri trasformati in parole, quel ragazzino ci fa galoppare tra fitte macchie di acacia e fiori di banskia – poco profumati ma scenografici – tra vizi e pettegolezzi di adulti bigotti e orgogliosi, giardini curatissimi e impreziositi da magnifiche voliere, zingari e canzoni country, banchi scolastici e salotti importanti, terre desolate e città popolate, primi giochi sessuali e amori nascosti, pronti a saltare fuori in maniera inattesa. Una narrazione coinvolgente e ponderata che diventa così una storia colma di scene e personaggi da leggere come attraverso un vetro colorato. Quello di una biglia, magari, con i suoi colori cangianti a seconda del sole. 

 

Tamarisk Row

Gerald Murnane
Safarà, 307 pp., 19,50 euro