Una fogliata di libri

Gli ultimi giorni di quiete

Francesca Pellas

La recensione del libro di Antonio Manzini (Sellerio, 240 pp., 14 euro)
 

L’italiano è una delle lingue in cui non esiste la parola per chiamare un genitore che rimane orfano di un figlio. Nella Bibbia c’è: è Av shakul (Em shakula al femminile); ed esiste anche in arabo, in sanscrito. Invece l’italiano quella parola non la vuole inventare, quel dolore vuole lasciarlo senza nome. “Sarebbe bello anche solo per un minuto, che questo dolore se ne andasse. Una pausa, non chiedo di più”, pensa Nora, madre di Corrado, che a poco più di vent’anni è stato ucciso durante una rapina nella tabaccheria di famiglia. Sono passati sei anni, e lei sa che non c’è angolo di mondo in cui potersi rifugiare: dice che le manca il coraggio, ma è consapevole che l’unico luogo in cui troverebbe pace è sottoterra, con Corrado. Sembra che nulla possa più scuotere la sua esistenza e quella di suo marito Pasquale, che dalla morte del figlio stanno perdendo anche il sentimento che li teneva uniti, e si trascinano in una vita sempre uguale. Un giorno però, tornando a Pescara in treno dopo una visita alla cugina, Nora riconosce qualche sedile più in là Paolo Dainese, l’assassino. Se lo trova davanti così, senza che il fato le lanci un avvertimento. L’omicidio non era premeditato, la buona condotta, gli sconti di pena: dopo meno di sei anni Dainese è già fuori, invece Corrado non c’è più.
Inizia in questo modo Gli ultimi giorni di quiete di Antonio Manzini (Sellerio), che lascia per un momento da parte Rocco Schiavone, il suo personaggio più celebre, e si dedica  a una storia che aveva in mente da tanto tempo, tratta da un fatto vero. Che cosa succede quando il dolore della perdita si somma a quello per il senso dell’ingiustizia subìta? E davvero, se è la legge a stabilire la pena, ci sono reati per cui chi rimane, i più feriti, possono farsi giudici e imporre un fine pena mai? Manzini non fornisce tesi o risposte: si fa semplicemente nobile narratore, che non assolve e non condanna, ma appunto racconta. E ci dice di come, da quel giorno del treno, la vita di Nora e Pasquale venga non solo colpita un’altra volta, ma entri proprio in una nuova dimensione, abitata da una scossa di terremoto costante, che chiama ad agire. Pasquale compra una pistola da un amico, Nora si mette sulle tracce di Dainese, lo trova, lo pedina. Quell’uomo è un omicida e per lei così deve rimanere, per sempre. L’uomo, dal canto suo, sta provando a rifarsi una vita: lavora in un’officina, si lascia scaldare dal primo amore che ha trovato appena uscito di prigione, e si sente più contento di quanto forse sia mai stato, perché è libero e può ricominciare. Intanto, nel solco scavato dalla sua presenza, ai genitori di Corrado sembra che il figlio muoia di nuovo e continui a morire ogni giorno che l’altro trascorre vivo, o in libertà. E alla fine questa storia che ha come sfondo il mare d’inverno, e non è un thriller psicologico ma piuttosto un thriller filosofico, se qualcosa di simile esiste, si fa leggere d’un fiato. Senza mai dare risposte o fornire una guida su quel che il lettore dovrebbe pensare, ma aprendo invece sentieri fitti di pensieri e domande.
   

Antonio Manzini
Gli ultimi giorni di quiete
Sellerio, 240 pp., 14 euro

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