Una fogliata di libri

Abbandonare un gatto

Gaia Montanaro

La recensione del libro di Haruki Murakami (Einaudi, 88 pp., 15 euro)

    Sono cresciuto in una famiglia del tutto ordinaria, che mi ha allevato con relativa cura”. Ogni parola di questo memoir di Murakami, pubblicato per la prima volta sulle pagine del New Yorker, sembra nascere da una profonda opera di pulitura, di cesello fino ad arrivare alla forma apparentemente più semplice e piana che la narrazione può accogliere. Lo scrittore giapponese ripercorre alcuni fatti legati alla sua infanzia, e in particolare al rapporto con il padre  Chiaki, a partire da un dettaglio marginale: l’essersi recati insieme una mattina ad abbandonare una gatta che era solita abitare a casa loro. Si parte quindi da un punto decentrato, un elemento secondario nella storia personale dello scrittore, per ripercorre la vicenda della sua famiglia che inevitabilmente si intreccia con il racconto del paese in cui è vissuto.

     

    Chiaki, soldato per errore e prete mancato, presta servizio nell’esercito nipponico circa un anno dopo del Massacro di Nanchino, in cui furono torturate e uccise migliaia di persone. Serberà tutta la vita nel cuore l’orrore e la drammaticità di quel periodo, non condividendo mai con il figlio i dettagli di quegli anni così tremendi e avvolti nell’ambiguità nella storia orientale. Chiaki diventa un insegnate, come lo era la moglie, e vive un’esistenza all’insegna dell’ordinarietà e delle poche parole. Per molti anni si allontana dalla vita del figlio, lasciando che il silenzio tra loro diventi uno spazio che sembra incolmabile. Ma poco prima di morire i due Murakami riescono a riavvicinarsi, a riempire quel silenzio di brevi parole piene di senso, “gocce di pioggia che cadono su una vasta pianura”. E questo silenzio, che va di pari passo con una scrittura sempre in sottrazione, viene nobilitato e ancora una volta riempito di contenuto dalle venti illustrazioni di Emiliano Ponzi, che cadenzano il testo non solo impreziosendolo bensì completandolo. Sono fotogrammi che rappresentano angolazioni, scene che si giustappongono andando a creare un insieme. Dalle geometrie delle architetture nipponiche, passando per i colori avvolgenti della natura, la progressione delle immagini traccia un racconto parallelo e allo stesso tempo simbiotico rispetto al testo che rimane sempre in equilibrio tra l’universale e il particolare, il piccolo e il grande. “La storia non appartiene al passato. E’ qualcosa che fluisce nella coscienza umana, o forse nell’inconscio, è una corrente di sangue vivo e caldo che, volenti o nolenti, ci trasmettiamo da una generazione all’altra. In questo senso ciò che ho scritto qui è una vicenda individuale, ma al tempo stesso un tassello della grande storia che ha formato il mondo nel quale viviamo. Ne è solo un minuscolo frammento, eppure ne fa indubbiamente parte”. Ha la forza dell’acqua, che silenziosamente scava. Come fa la scrittura di Murakami che si mostra semplice perché passata dalla complessità. Come fanno le illustrazioni di Ponzi, che mostrando la superficie svelano anche la profondità.

        

    Haruki Murakami
    Abbandonare un gatto
    Einaudi, 88 pp., 15 euro