Una fogliata di libri

Gli inganni di Locke Lamora

Edoardo Rialti

La recensione del libro di Scott Lynch (Mondadori, 607 pp., 18 euro)

Tutto è al contempo padre e figlio, nella storia dei generi letterari. Già all’inizio del Novecento, dopo che il Romanticismo e il trionfo del romanzo avevano compreso anche il definirsi vero e proprio del fantasy contemporaneo, Leiber e Cabell avevano già fuso assieme le quest cavalleresche di Morris o l’epica muscolare di Howard con l’umorismo picaresco, raccontando strane coppie di guerrieri e ladri, fondendo alto e basso, mostrando le crepe dell’eroismo e la dedizione che si annida persino nel calcolo truffaldino, continuando a variare su quanto Cervantes aveva espresso col grande duo metaletterario composto dal proprio azzimato e melodrammatico cavaliere e scudiero panciuto. Tale sensibilità (mai assente pure nei capolavori dell’high-fantasy) prosegue nei fatiscenti cerimoniali di Peake, nei ribaltamenti prospettici di Gaiman, nella cupezza cinica di Cook ed è uno degli elementi del successo mondiale del “Trono di Spade” di G. R. R. Martin, che nella vulgata resta il padre putativo più celebre del cosiddetto grimdark, il fantastico “brutto sporco e cattivo”. I romanzi di Scott Lynch (di cui Mondadori ha pubblicato i tre volumi disponibili) sono tra i figli più riusciti e divertenti della cosiddetta prima generazione (la stessa di Abercrombie, Morgan, Lawrence), a sua volta già riferimento per le successive. Nelle parole dello stesso Lynch si era “nella seconda età oscura di Internet – il 2004 – facevo parte d’una comunità online che oggi purtroppo è parecchio, parecchio defunta. Era un forum di discussione per persone che ci andavano giù serie col fantasy – doppie sottolineature, punti esclamativi. Come molti, sostenevo di poter scrivere un romanzo e minacciavo di poter davvero scrivere un romanzo, e alla fine persero la pazienza e dissero: ‘Senti, chiudi il becco o mostraci a cosa stai lavorando’ e l’ho fatto”. Il risultato è Camorr, una Venezia marcescente dove imperversano alchimia e tagliaborse, sfregiati ed elezioni corrotte, maschere e menzogne  –“non c’è libertà come la libertà di essere sempre sottovalutati” – e nella quale cresce l’astro d’un nuovo principe dei ladri. “Ci sono soltanto tre persone nella vita che non puoi mai fregare: agenti di pegni, puttane e tua madre”. Un mondo dove il primo bene rapinato è la propria identità, dove tutti possono tradire e venderti e proprio per questo i pochi brandelli d’amore e amicizia vi spiccano sudici e laceri. 
Come ogni opera matura, quella di Lynch è anche una riflessione postmoderna che investiga le pieghe del genere e le fonde con altri linguaggi (il primo capitolo ha l’hitchcockiano titolo de “Il ragazzo che rubava troppo”), percorsa da uno spirito sbruffone e ammiccante come quello del suo protagonista. “‘Gli ho tagliato le dita per convincerlo a parlare, e quando ha confessato tutto ciò che volevo sentire, gli ho fatto tagliare quella fottuta lingua e cauterizzare il moncherino’. Tutti i presenti lo fissarono. ‘Gli ho anche dato dello stronzo. Non gli è piaciuto’, aggiunse Locke”.
  

Scott Lynch
Gli inganni di Locke Lamora
Mondadori, 607 pp., 18 euro

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