Il cuore è una selva

Sandra Petrignani

Recensione del libro di Novita Amadei edito da Neri Pozza, 266 pp., 18 euro

E’ prima di tutto una grande magia linguistica quella che lega Novita Amadei al protagonista del suo nuovo romanzo, Il cuore è una selva (Neri Pozza). Personaggio il cui nome non viene detto, anche se a ogni riga si riconosce la figura lacerata e lacerante del pittore Antonio Ligabue, detto “el mätt”. “Il matto non si limitava a riprodurre la realtà, ne smuoveva le forme invisibili e trasformava il vedere in sentire” scrive Amadei rivelando il centro del suo racconto, quello che le preme analizzare come risultato artistico del mätt, ma anche suo personale. Il mätt imprime nelle forme e nei colori “una solitudine indicibile e tutta la disperazione e l’amore di cui era capace”. Trasforma, appunto, il vedere in sentire, che è un modo molto preciso di descrivere il lavoro di uno scrittore.

L’idea di questa storia nasce per Novita Amadei, parmigiana che vive in Francia, dal fatto che Ligabue era stato una presenza (“più come personaggio popolare che come artista”) della sua infanzia. “Sono cresciuta sotto due sue acqueforti, una lince e un’antilope, che i miei tenevano in tinello”, mi spiega. E aggiunge anche sorprendentemente che non le sono mai piaciute quelle due immagini e che, in definitiva, non le piace la pittura di Ligabue. A far risuonare in lei la voglia di scriverne è la vita dolorosa, quell’essere stato un “uomo di confine” fra tenebra e luce, fra due lingue (tedesco e dialetto emiliano), fra delicatezza e selvaggeria. Era infatti, Ligabue, svizzero-tedesco per nascita, di Zurigo, ma le vicissitudini della sua vita l’avevano portato in Italia sulle sponde del Po, a Gualtieri, da dove veniva il padre adottivo.

E’ in quest’area che Novita muove il suo protagonista fra ricoveri in ospedali psichiatrici e fughe nei boschi a contatto con altre figure bislacche e con i tanti animali con cui il pittore s’identificava e che trasferiva sulla tela mescolando ai colori anche gli umori del corpo. Fedele alla cronologia del personaggio reale, l’autrice si prende ampie libertà nel raccontarne incontri e vicissitudini. Mescola per esempio la comprovata attività di traduttore al servizio dei tedeschi, che svolse Ligabue durante la guerra, a una pagina della Resistenza in cui fu coinvolta la partigiana Lucia Sarzi (nel romanzo Lucia Malerba) e inventa un finale fiabesco lontano dalla verità dei fatti offrendo al suo mätt la realizzazione di un sogno romantico inseguito invano nella vita vera. La fedeltà è altrove: nella profonda conoscenza che Amadei ha della musicalità di un dialetto, dei fili d’erba, dell’aria umida del Po, dell’intensità della luce, com’erano una volta, in una chiave di nostalgia. E così, ripensando al recente film comunque bello di Giorgio Diritti, “Volevo nascondermi”, dedicato allo stesso tema con grande aderenza ai fatti reali, mi viene da dire che essersi affidato totalmente alla bravura mimetica di Elio Germano e alla rappresentazione della “malattia” di Ligabue lascia un senso di insoddisfazione, perché non basta la stranezza o la pazzia a spiegare il genio.

 

Il cuore è una selva
Novita Amadei
Neri Pozza, 266 pp., 18 euro

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