Le Sette Dinastie

Matteo Strukul

La recensione del libro di Matteo Strukul, Newton Compton, 537 pp., 9,90 euro

Il romanzo si apre con uno storpio che sale faticosamente i gradini di una torre, e una decapitazione. Un’ascesa fisica che è anche espressione d’una scalata sociale, d’una volontà ferrea che sa pazientare, per poi presentare il conto sanguinoso di tante attese, simulazioni, umiliazioni.

  

È questa commistione di genio e brutalità, di calcoli e ferocia, di oro sapientemente impiegato, dibattiti artistici e stragi dove il calore dell’armatura e il lezzo del sangue sono così intesi che la pioggia gelida giunge come un refrigerio, a costituire il centro del Rinascimento italiano narrato da Matteo Strukul, un autore la cui “regione” immaginaria spazia dall’amato Veneto in chiave pulp a quello universalmente celebre di Casanova, dalla Transilvania di Dracula al Medioevo teutonico, dalla Padova ottocentesca le cui nebbie paiono nascondere gli stessi enigmi della Londra di Stevenson o Doyle a quella degli spritz e dei ricatti del mondo accademico contemporaneo, dal fumetto al videogioco.

  

Si è spesso evocato Dumas per richiamare una tradizione illustre che Strukul esplicitamente ama, ammira e riprende, ma al nome augusto del padre della grande narrativa storico-avventurosa vanno affiancati quelli più recenti di un grande apripista come Alan Altieri con il suo ciclo iperviolento sulla Guerra dei Trent’anni, il fantasy crudo e ironico di Joe Abercrombie, con i suoi sgherri sciancati o sfregiati, e l’epica verdiana di Tim Willocks.

   

Dopo aver raccontato il destino di una città, dell’Italia e del mondo intero attraverso le vicende della famiglia Medici con una saga di enorme successo incoronata dal Bancarella, Strukul ritorna per così dire allo stesso Quattrocento che vide gli inizi della vicenda già narrata, mostrando tuttavia un contesto più ampio, una ragnatela più sottile e fitta. E se il romanzo si apre con una citazione dai celebri scritti di Burckardt sulla misteriosa e felice commistione di elementi che diede vita ai protagonisti e protagoniste della splendida e spregiudicata civiltà rinascimentale italiana, in questa lotta aperta o segreta tra le grandi famiglie signorili, le cui dinamiche furono già analizzate da Machiavelli e drammatizzate dal Manzoni del Carmagnola, è soprattutto all’Iggulden che ha rinarrato la Guerra delle Rose e al Martin delle casate di Game of Thrones che Strukul si ispira presentandoci i suoi Sforza, Estensi, Medici, Colonna, in un ricco arazzo che comprende celebri protagonisti della storia effettiva e personaggi immaginari, battaglie campali e tormenti coniugali, pontefici in fuga e qualche piccolo tributo al mondo dell’Europa dell’est, quasi una divertente cifra stilistica. E se nelle avventure di Casanova o Lorenzo il Magnifico il grande contraltare femminile in fondo era costituito dalle stesse città che si volevano conquistare o controllare, qui la regina da sposare o rapire o la seducente cortigiana ai piedi del cui talamo anche spagnoli e francesi sono disposti a rovesciare una pioggia d’oro e sangue, è l’Italia stessa.

 

Matteo Strukul
Le Sette Dinastie
Newton Compton, 537 pp., 9,90 euro

Di più su questi argomenti: